L’agricoltura in Marmilla per recuperare biodiversità e saperi antichi: ‘Sa laurera’, il progetto di due contadini under 40

di Andrea Tramonte

L’idea era quella di recuperare, conservare e trasmettere saperi antichi legati al mondo contadino sardo, un rapporto con la terra e un saper fare che meritavano di essere salvati dall’oblio. “Si può fare agricoltura in modo naturale e biologico con tecniche antiche – spiegano – senza sfruttare il suolo. Anzi: preservandolo”. Sa Laurera nasce così: da una passione che è diventata anche una missione, una piccola rivoluzione gentile basata su sostenibilità e recupero di biodiversità. Su valori rurali e competenze che risultano oggi ancora più attuali di un tempo, proprio ora che si sta prendendo coscienza della catastrofe ambientale prossima ventura e della necessità di invertire la rotta prima possibile. Anche a partire dalle coltivazioni di piccoli terreni disseminati in Marmilla: tra Villanovaforru e Sardara, prima anche a Gonnosfanadiga.

L’azienda agricola, nata nel 2013, è ormai una realtà consolidata frutto dell’impegno di due giovani: Marianna Virdis, la titolare, e il marito Francesco Mascia. “L’origine risale a una esperienza molto personale – racconta lei -. Mi sono laureata in Beni culturali e nell’ambito di uno studio sul recupero dei centri storici ho intervistato diversi anziani. Approfondendo l’edilizia delle case a corte mi sono resa conto che erano la cornice di un mondo contadino molto complesso. Sono rimasta affascinata dai saperi preservati da quelle mura. Alcuni contadini avevano ancora vecchie sementi e curavano gli orti come si faceva un tempo. Così è nata la passione: ho scoperto un bene culturale vivente. Biodiversità e saperi che però si stavano perdendo”.

A questo amore improvviso si aggiungono le competenze del marito, che ha condotto studi in Scienze naturali all’Università. Il passo iniziale è stato quello di chiedere dei terreni in uso gratuito per condurre i primi esperimenti su antiche sementi e mettere in pratica i saperi che la coppia stava raccogliendo da contadini anziani: tecniche di lavoro artigianali e manuali che i due portano avanti ancora oggi pur avendo aumentato la produzione nel corso degli anni. Col termine sa laurera, del resto, si indica il complesso di conoscenze e operazioni tradizionali necessarie a raccogliere i frutti della terra (ed è anche il titolo di un libro fondamentale dell’antropologo Giulio Angioni dedicato al mondo contadino nell’Isola).

“Gli anziani ci hanno insegnato tecniche che a loro volta hanno appreso dalle generazioni precedenti – racconta Marianna -. Innanzitutto la rotazione delle colture per mantenere la salute dei suoli, che è la cosa più importante. Equilibrio e struttura del terreno, sostanze nutrienti: il suolo rimane sano e le piante crescono bene. Portiamo avanti lavorazioni di superficie senza uso di diserbanti e concimi, per non uccidere batteri e lombrichi. E conservare la salute dell’ambiente. È una cosa che ogni contadino dovrebbe sempre tenere a mente, che dovrebbe stargli a cuore sopra ogni cosa”. Fin dall’inizio il prodotto era buono e abbondante e i primi clienti hanno apprezzato. Così hanno preso coraggio e sono andati avanti, aumentando il numero delle produzioni e dei terreni, in uso gratuito o in affitto. “Anche la crescita dell’azienda è stata sostenibile – spiega Mariana -. Non mi sono indebitata per avviare l’impresa, ma ho fatto in modo che si autofinanziasse come si faceva in passato. Insomma, l’azienda doveva reggersi sulle sue gambe, grazie alle sue risorse”.

Il territorio dove operano è fertile e vocato alla coltivazione di cereali e legumi, del mandorlo, dell’olivo e della vite. Le risorse idriche sono limitate e questo ha favorito lo sviluppo di tecniche di aridocoltura, ovvero con l’educazione delle piante a crescere in campi non irrigati. La terra è rispettata anche nella sua vocazione, con orti diffusi – anche distanti tra loro – ognuno dei quali con una sua coltivazione specifica. Le colture se ne avvantaggiano e anche il paesaggio circostante viene preservato. La produzione è varia: pomodorini, carciofi, lattuga, ravanello, cumino, cipolla rossa, fagiolini. “Ai primi di novembre la raccolta delle olive, poi zafferano e i primi ortaggi invernali: radici, ravanelli sardi, qualche varietà di ravanello orientale “perché coi cambiamenti del clima si può sperimentare anche su prodotti più esotici”. “Prepariamo i terreni per la semina con l’aratura leggera”, spiegano. Il lavoro coi legumi e il frumento è quello che li identifica maggiormente, anche nell’ottica del recupero di varietà scomparse che è una parte fondamentale del loro lavoro. Grani come Trigu arista niedda, Trigu moru, Trigu murru e Trigu biancu a seme rosso sono tornati in vita grazie al loro lavoro.

“Un patrimonio che cerchiamo di restituire alla Sardegna – racconta Marianna -. Abbiamo sperimentato decine e decine di varietà di frumento antico sardo, che non vedevano il suolo da un secolo. Il Trigu arista niedda è stato il primo grano antico a fornire più di una tonnellata di granella, dopo decenni di oblio”. I primi esperimenti risalgono a otto anni fa, poi l’azienda ha cercato di spingere la diffusione degli sfarinati da grani antichi e attivato delle collaborazioni in grado di valorizzare i loro prodotti. E poi ci sono i legumi, con almeno un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale: la cicerchia Inchixa, che è stata ospite dello spazio ufficiale dell’Anno internazionale dei legumi della Fao. Di questo prodotto si hanno testimonianze nell’Isola fin dall’Età del Bronzo. Il recupero è stato effettuato grazie a semi tramandati dai loro genitori. Fino a ottenere il prestigioso Arca Degli Award nel 2016. Oggi Sa Laurera è anche fattoria didattica. Tutto il lavoro di ricerca e studio condotto da Marianna e Francesco viene così condiviso con chi ha voglia di mettersi in gioco e imparare. “Da luglio 2020 abbiamo ottenuto anche la certificazione biologica – raccontano con orgoglio -. Lo siamo sempre stati ma ora siamo felici di aver ottenuto anche la certificazione ufficiale”.

Questo articolo è uscito originariamente su Sardinia Post Magazine

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