La Sardegna rischia di perdere un terzo delle spiagge entro 25 anni: uno studio lancia l’allarme sull’erosione nelle coste

di Andrea Tramonte

Il dato secco dice che entro 25 anni la Sardegna rischia di perdere più di un terzo delle spiagge per via dell’innalzamento dei livelli del mare e dei fenomeni erosivi connessi anche all’antropizzazione delle coste. “Sembra un periodo lontano ma il 2050 è domani. Il livello del mare si è alzato di dieci, venti centimetri: sta già succedendo”, dice Filippo Celata, docente di Geografia economica e politica alla Sapienza di Roma e autore – insieme alla ricercatrice Eleonora Gioia – di uno studio pubblicato sulla rivista Applied Geography dedicato al tema. Una lunga analisi sul modo in cui la crisi climatica impatta sulle spiagge, “strette” tra i mari che avanzano e la continua pressione del cemento sulle coste. Entro la fine del secolo il rischio è che spariscano definitivamente circa il 70 per cento dei litorali dell’Isola; e per ogni sardo la mappa mentale di quello che andremo a perdere è piuttosto facile da disegnare. 

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Lo studio non dice di preciso quali spiagge siano più a rischio anche perché “più si scende nel dettaglio e più aumenta l’incertezza” – dice Celata – e ci sono vari scenari da considerare. “Ci si basa su proiezioni e previsioni soggette a incertezza ma le dinamiche sono queste: un arretramento delle spiagge che abbiamo cercato di mappare”. Il punto fermo da tenere a mente è che andremo incontro a un vero e proprio ridisegno delle coste. “I valori più elevati di innalzamento li troviamo nella zona di Oristano ma anche in quella di Cagliari – spiega il professore -. In termini di Comuni, mi vengono in mente Lanusei, Arborea, San Teodoro, Golfo Aranci ma sempre tenendo a mente che parliamo di proiezioni e non di certezze granitiche”. In ogni caso basta guardare la cartina qui sopra e le aree rosse segnate: oltre all’Oristanese spiccano anche Sulcis, Baronia e Ogliastra, la zona del Sarrabus. E neanche il Cagliaritano se la passa molto bene.

Nel corso dello studio Celata e Gioia si sono trovati di fronte a una situazione in Sardegna che presenta dei risultati contraddittori e sorprendenti, con l’Isola che vanta un primato positivo e uno negativo. “Partiamo dal secondo – dice il professore della Sapienza -: l’Isola è una delle regioni in assoluto più esposte dai fenomeni erosivi aggravati dall’innalzamento del mare e già entro il 2050 numerose spiagge sono a rischio, una situazione gravissima. Parliamo in particolare di quelle che si definiscono “pocket beach” (piccole spiagge confinate tra promontori rocciosi, luoghi fragili di elevato valore ambientale n.d.r.) e che potrebbero essere cancellate definitivamente”. Ma poi c’è il primato positivo: “La Sardegna è la Regione con il tasso di artificializzazione del retrospiaggia più basso in Italia: il 20 per cento a fronte del 50 per cento di altre Regioni. Questo significa che l’Isola è molto esposta ma per motivi territoriali e paesaggistici può mettere in campo soluzioni efficaci per affrontare il fenomeno dell’erosione: strategie che afferiscono alla naturale resilienza delle spiagge attraverso un approccio ‘nature based’”. 

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Lo studio sul tema lancia un avvertimento. Le spiagge – spiega – non rimangono immobili. Sono fragili ma dotate di una certa resilienza e quindi dinnanzi ai processi erosivi cercano di “riformarsi”, indietreggiando. Ma questo processo di adattamento e arretramento incontra un limite insormontabile laddove l’area del retrospiaggia sia “artificiale”: ovvero laddove ci siano costruzioni dell’uomo, edifici, strade e aree urbane in generale. Regioni come la Liguria e le Marche da questo punto di vista sono messe molto male mentre la Sardegna è in una condizione estremamente migliore. Questo ha un significato sul piano politico, o meglio dovrebbe averlo suonando come una indicazione praticamente tassativa: “Bisogna impedire l’urbanizzazione delle coste e lasciare libera una fascia di almeno 300 metri dal mare, puntare sulla tutela del territorio e impedire ulteriore consumo del suolo”, dice Celata. 

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Spesso per i fenomeni di erosione si interviene con opere di difesa costiera come “barriere frangiflutti, sbarramenti artificiali che si suppone possano ridurre quei processi ma in realtà hanno diverse problematiche – avverte Celata -: riducono i fenomeni erosivi sovraflutto ma li aumentano sottoflutto. E quindi aggravano il problema”. La soluzione è quella di “affidarsi” alla natura, o per meglio dire: mettere in campo soluzioni ‘nature based’ come quella del “ritiro gestito”, che però falliscono se i litorali vengono in qualche modo “costretti”. “La spiaggia è un ambiente dinamico che si rigenera con l’apporto di sabbie che vengono anche dal mare. Difenderla cercando di farla rimanere dove è, irrigidirla, è disastroso. Questo tipo di gestione è connaturato a certi interessi economici. Lasciare la spiaggia libera, ‘disumanizzare’ i litorali in certe zone è da libro dei sogni ma in Sardegna non lo è ancora. Lo diventerà se come altrove prevarrà una politica miope di mera difesa dell’esistente. La Sardegna potrebbe essere all’avanguardia”.  L’allarme che lancia Celata è serio. “Stiamo scherzando col fuoco. Chi continua a perseguire strategie di artificializzazione delle coste rischia di contribuire a scenari che potrebbero essere disastrosi. E non possiamo neanche rimandare nell’approntare subito delle soluzioni adatte. A volte si tende a pensare: sì ok ci penseremo sì vabbè c’è ancora tempo ma si sottovaluta che il mare si è già innalzato e il processo è inesorabile”. 

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