Una giovane tartaruga marina della specie Caretta caretta è stata rinvenuta priva di vita nella mattina del 18 giugno lungo la spiaggia di Pistis, nella Costa Verde. Il recupero dell’esemplare è stato effettuato da una pattuglia della Base logistico operativa navale del Corpo forestale di Oristano, su segnalazione del Centro di recupero del Sinis (Cres), che coordina le attività di soccorso e studio della fauna marina in difficoltà in Sardegna.
La tartaruga, non ancora in età riproduttiva ma in buono stato di conservazione, è stata trasferita nella sede del Cres a Torre Grande, dove sarà sottoposta a necroscopia per determinare le cause del decesso. Parallelamente verranno effettuate analisi ecotossicologiche e prelievi per lo studio degli isotopi stabili, strumenti fondamentali per comprendere la dieta e l’area di provenienza dell’animale.
I campioni raccolti saranno analizzati presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna, nell’ambito di progetti di ricerca scientifica nazionali ed europei come Turtleback e Strategia Marina. Le prime osservazioni fanno ipotizzare che la morte sia stata causata da un impatto con un’imbarcazione: una minaccia purtroppo frequente per le tartarughe marine, specialmente in estate, quando il traffico marittimo aumenta notevolmente. Le collisioni con scafi e eliche possono causare lesioni gravi o mortali.
Altra fonte di rischio è rappresentata dal Marine Litter, in particolare la plastica dispersa in mare. Si stima infatti che oltre il 70% delle Caretta caretta nel Mediterraneo abbia ingerito plastica almeno una volta, con conseguenze che vanno dall’occlusione intestinale alla morte per denutrizione.
La Caretta caretta è una specie protetta a livello internazionale, e le coste sabbiose della Sardegna sono da anni tra i suoi siti privilegiati di nidificazione. Il numero crescente di nidi osservato negli ultimi anni è un segnale incoraggiante, ma richiede un rafforzamento delle misure di tutela e un’attività continua di sensibilizzazione verso residenti, turisti e diportisti.
Foto d’archivio