Dallo spopolamento al piromane sardo. Il sociologo Migheli spiega gli incendi

“La furia devastatrice del fuoco sempre fa impressione. Ma quando travolge casa propria, nei luoghi dell’anima, nello spazio del vissuto e dei ricordi, quelle fiamme colpiscono nel profondo”. Nicolò Migheli lo dice da sociologo, ma soprattutto da nativo del Montiferru. Lui non solo è cresciuto a Santu Lussurgiu, uno dei paesi colpiti  dall’incendio che dal 24 luglio continua a lasciare cenere ovunque, ma torna lì appena può. Migheli, esperto di sviluppo rurale e comportamento organizzativo, scava dentro il rogo “non ancora spento” offrendo un punto di vista capace di rimettere in asse anche la portata di certi luoghi comuni.

Dottor Migheli è ancora nella sua Santu Lussurgiu?

No, sono appena tornato a Cagliari.

Le indagini sono in corso. Ma in paese radio tam tam sarà accesa. Cosa si dice?

La versione più accreditata è che il rogo sia partito dall’incidente del 23 luglio. Come noto, nella strada tra Bonarcado e Santu Lussurgiu per autocombustione si è incendiata un’auto. A bordo c’era una persona del posto che fortunatamente si è salvata. Vero che le fiamme sono state spente. Ma in estate, in condizioni climatiche come quelle attuali, succede che il fuoco continua a camminare sottoterra. Lo scirocco può aver fatto il resto.

Lo ripetiamo: saranno gli inquirenti a ricostruire eventuali responsabilità penali. Ma la mano del piromane dietro la tragedia continua a tenere banco, specie sui social.

Condivido la ripetizione sul lavoro investigativo che va avanti. Tuttavia in Sardegna il fenomeno del piromane è sempre più residuale, anche a dispetto di quello che è un pensiero diffuso. Nella maggior parte dei roghi, è la distrazione umana o l’incidente che creano le condizioni perché si verifichino devastazioni come sta accadendo nell’Oristanese, dove peraltro le fiamme non sono ancora del tutto spente.

Perché dice che in Sardegna la piromania non è più una piaga?

Al netto dei casi in cui c’è un istinto patologico dietro il bisogno di appiccare il fuoco, il mondo della campagna si è trasformato nel tempo, insieme alla Sardegna. L’incendio per vendetta è ormai una pratica rarissima, a differenza di quanto accadeva anni fa. Si aggiunga che lo spopolamento delle zone interne come il Montiferru ha portato a uno stato di abbandono anche i boschi. Sin dal Neolitico il patrimonio naturalistico della nostra Isola era antropizzato. Oggi si registra un inselvaggiamento della terra.

Quando gli incendi devastano, si dice “con tutti i forestali che ci sono in Sardegna non si riesce a fare nulla”.

Non si considera che non tutti i boschi sono pubblici. Enorme porzioni di Sardegna sono proprietà privata. Ripulirli non solo è un costo, ma la ‘manutenzione’ è a volte ostacolata dall’eccesso di burocrazia. Il risultato che è interi polmoni verdi come il Montiferru sono diventati scatolette di fiammiferi. Anche la trasformazione della pastorizia, con la transumanza che ha lasciato spazio alla stanzialità, ha contribuito a trasformare i boschi della nostra Isola. Non vanno sottovalutate nemmeno le abitudini quotidiane: oggi si consuma molta meno legna da ardere. Il pellet delle stufe che vanno per la maggiore si ricava quasi sempre dagli scarti di lavorazione.

Si stava meglio quando si stava peggio?

Di sicuro oggi rispetto a ieri sta venendo meno l’uso produttivo del bosco. Da qui appunto quel ritorno allo spazio selvaggio che non si traduce necessariamente in vantaggio. La lotta alla peste suina, che ha portato alla cancellazione del pascolo brado dei maiali, è un altro elemento che va incluso nell’analisi fattuale degli incendi: i maiali sono un’ottima macchina pulitrice del sottobosco. Si cibano di ghiande, erba e piante. La loro soppressione, seppure per ragioni sanitarie, è foriera di un ulteriore mutamento negli equilibri dell’ecosistema. Solo i bovini assolvono a una funzione simile a quella dei suini. L’habitat della capra è anche il bosco ma soprattutto la macchia mediterranea. Le pecore, invece, hanno bisogno di prati. Il ritorno al selvaggio ha un non so che di romantico. Ma siamo quasi davanti a un’atrofia.

Ha letto l’editoriale di Marcello Fois dell’altro giorno?

Sì.

Cosa pensa?

Anch’io anni fa ho scritto le stesse cose che abbiamo letto l’altro giorno a firma del caro amico Marcello (i due hanno pubblicato insieme anche un libro, ndr). Ma sono inutili. Hanno un senso di pessimismo che peraltro non trova riscontro nella realtà. Anzi. Davanti alle tragedie, come quella di questi giorni nel Montiferru, sta prevalendo la reazione collettiva. Unitaria.

Lei ha capito quale colpa Fois ha imputato ai sardi?

Nell’editoriale non era scritto espressamente. Ma immagino si riferisse all’assenza di senso civico dei sardi. Invece torno a dire: anche in questi giorni, ma l’abbiamo visto mesi fa pure a Bitti, la risposta comunitaria c’è. Nel Montiferru i cittadini si sono messi a disposizione. Anche per trasportare l’acqua. E nessuno restituirà loro i costi sostenuti. Lo spirito cooperativo appartiene ai sardi. Autofustigarci è fuori luogo. Anche perché poi i colpi rimangono a noi.

Ha letto anche la riflessione di Paolo Maninchedda?

Sì, e a quella lettura do credito. Maninchedda è sempre molto ben informato. Se ha lanciato quelle accuse, una verità c’è. È assurdo che il Corpo forestale, nella stagione più delicata per gli incendi, non abbia un capo. E che l’Agenzia Forestas sia senza Dg.

Sia Antonio Casula che Giuliano Patteri, rimossi rispettivamente dai posti di comando nei due enti per aver partecipato al pranzo di Sardara, hanno ottenuto il benservito a luglio, attraverso il ddl 107 approvato a maggio. Il presidente Christian Solinas e la sua Giunta hanno avuto tutto il tempo per preparare le staffette. Ma a ben vedere non l’hanno fatto.

Questo è sicuro.

A proposito del governatore, una sua visita nel Montiferru come l’avrebbe vista?

Necessaria. Il capo della Giunta sarda si è limitato a connettersi in videoconferenza. Fatto grave e discutibile. Vuol dire lasciare soli i sindaci. Usando tutt’altro tatto, nei luoghi della devastazione è andato il presidente di Anci Sardegna, Emiliano Deiana. Il quale non avrà potuto far altro che una chiacchierata. Ma in questi momenti il conforto è un gesto fondamentale. Solinas anche nel Montiferru sarà stato votato. Eppure non ha avuto il riguardo di una visita. Se lo ricorderanno da quelle parti. È come quando, per i lutti, non si fa va a trovare la famiglia del morto. Sono cose che non si dimenticano.

Lei nei giorni scorsi era a Santu Lussurgiu?

Sì, ero in compagnia dell’avvocato Carlo Augusto Melis Costa. Avremmo dovuto fare una presentazione del nostro libro ‘Storie barocche’. Era in programma per sabato 24. Ma di primo pomeriggio, già verso le 15, con le fiamme che avanzavano drammaticamente, abbiamo annullato l’appuntamento, d’accordo con la vicesindaca Francesca Citroni. Si capiva la pericolosità dell’evento. Anche se nessuno di noi immaginava un disastro di queste proporzioni. A Santu Lussurgiu nemmeno nel 1994, nell’estate più nera degli incendi, si era vista una roba così. In paese nessuno ricorda tanta devastazione. E da noi non è andata nemmeno malissimo. A Cuglieri, Scano Montiferro, Tresnuraghes e Sennariolo stanno molto peggio. Lì i danni sono ingenti anche per aziende agricole e attività commerciali. In quei Comuni le fiamme sono avanzate di notte, quando non possono intervenire né i mezzi aerei né le squadre a terra. Una sfortuna terribile.

Dopo il passaggio del fuoco è ripassato sulle ‘sue’ montagne?

Sì, con un amico abbiamo fatto un giro in macchina. Si vedono solo sassi neri e monchi di alberi verso il cielo. E un silenzio che non avevo mai sentito, in quei boschi. Non un cinguettio, non un verso di un animale.

Di questo dramma cosa si porterà dietro?

Le lacrime di un ottantenne del paese. Piangeva come un bambino. Inconsolabile.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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