Matteo Mancosu, il bomber sardo ha trovato la sua Isola felice. In Sicilia

Il calcio è strano. A volte ci mette anni a riconoscere un buon giocatore. Matteo Mancosu ha dovuto compierne 29 per avere la sua grande occasione. Serie B col Trapani, conquistata sul campo, non per caso. Con 15 gol segnati in Lega Pro e un campionato vinto da protagonista. E al suo primo tentativo coi cadetti non ha perso tempo: 13 reti in 19 partite (l’ultimo contro la Ternana, il 20 dicembre), in testa alla classifica dei marcatori con Leonardo Pavoletti del Varese e l’emozione della prima volta a San Siro, contro l’Inter, in Coppa Italia.

La sua è la storia di un ragazzo cresciuto in una famiglia di calciatori: il padre, a livello minore, il fratello Marco, 26 anni, con un gol in serie A, un passato nel Cagliari e un presente in Lega Pro con il Benevento, l’altro fratello, Marcello, 20enne del Selargius. La storia del figlio che non aveva passato i provini per entrare nel Cagliari, del brutto anatroccolo diventato il cigno più bello. Nella mente il Trapani, nel cuore la Sardegna.

Quante emozioni in questo inizio di stagione…

Risposta: È stata una cosa inaspettata. Mesi fa, se qualcuno mi avesse detto che a questo punto del primo anno in serie B avrei già fatto 13 gol l’avrei preso per pazzo. E invece è successo.

Tredici gol segnati un po’ in tutti i modi, no?

Ho iniziato a diventare efficace anche in area, in mischia, nei palloni buttati in alto. Quello che finora mi era mancato. I gol partendo da lontano e sfruttando la mia velocità li avevo sempre fatti. Ma quelli di rapina sono i più difficili, e quelli che amo di più.

L’unico scartato dal Cagliari in famiglia. Esploso tardi. Come è possibile?

Evidentemente non ero abbastanza bravo per stare nel Cagliari, non ero ai livelli dei migliori in Sardegna. Ci sono giocatori che maturano a 15 anni, altri a 25. Oppure i selezionatori non hanno visto bene e non hanno capito il mio potenziale. Delle due una.

Marco, suo fratello, ha giocato in serie A e ha anche segnato un gol. Ma ora è in Lega Pro e tu in B. Da protagonista. Per lei è una rivincita?

No, non lo è. Lui mi ha sempre invogliato a continuare e non mollare mai. Era sicuro che io avessi le qualità per arrivare in serie A o in B, dove aveva giocato lui. Mi ha sempre detto di continuare per la mia strada.

A 29 anni non sei più un ragazzino. Ci credi ancora nella serie A?

Bisogna crederci sempre, ma fino all’anno scorso anche solo la serie B era un sogno. Ora me la sto godendo. Non ci penso alla A, ma ci spero.

Magari proprio col Cagliari…

Magari. Ho sentito tante voci, ma ancora niente di concreto. Io sto bene a Trapani, con società, allenatore e pubblico. A fine campionato, se ci saranno delle offerte, se ne riparla.

Cosa ha Trapani di così speciale da essere riuscita a far uscire fuori il meglio di lei?

Ho trovato un allenatore che crede tanto in me, Roberto Boscaglia. Anni fa mi vide giocare, feci due gol, e gli piacqui subito. Non poteva prendermi però, e consigliò al Lamezia di farlo. Segnai 20 gol quell’anno, poi mi ha portato con sé a Trapani. Gli devo tanto.

Però il legame con la Sardegna è tanto forte. Ha dedicato la sua doppietta contro la Juve Stabia alle vittime dell’alluvione del 19 novembre. Ora il giornalista Vittorio Sanna ha lanciato l’idea di una nazionale sarda. Le piacerebbe giocarci?

Tantissimo. Il legame con la propria terra, come in tanti altri ambiti, cresce quando ci si allontana. Le cose diventano ancora più care quando ci mancano.

Intanto ha fatto il suo esordio a San Siro, dove non era mai stato nemmeno da spettatore. Ma è partito dalla panchina. Quando l’ha saputo era deluso?

Ero preparato. L’allenatore ci aveva avvisato che chi giocava di solito titolare non doveva aspettarsi di scendere in campo con l’Inter. Però l’ingresso in campo è stato davvero emozionante.

Come è stato?

Sarà stata la nebbia, ma sembrava di giocare al coperto. Ogni voce, ogni suono, erano amplificati. E poi i tabelloni luminosi dietro le porte: sembrava di stare in un videogioco.

Una trentina di suoi amici e la sua fidanzata sono andati a Milano per vederla giocare. Sarebbe stata una grossa delusione per loro se non fosse entrato…

Sì, e magari hanno anche urlato a Boscaglia di farmi entrare. Ma noi siamo professionisti e dobbiamo capire le scelte dell’allenatore. Il campionato è più importante, anche se per noi poteva essere un’esperienza unica quella di giocare a San Siro. Quattro titolari abituali sono finiti in tribuna. Ma bisogna saperlo accettare.

Certo che però avete rischiato di fare lo sgambetto all’Inter. Dopo il gol del 3-2, a pochi minuti dalla fine, cosa avete pensato?

In quelle situazioni ci si dimentica contro chi si gioca. Sparisce l’Inter e si cerca solo di pareggiare. Anche se davanti hai Guarin e Ranocchia. Non ci siamo riusciti, ma abbiamo fatto una bella figura.

Si è dato un obiettivo in termini di gol per questa stagione?

Per un attaccante è importante raggiungere la doppia cifra. Fortunatamente è già arrivata e non siamo neanche a metà campionato. Ora ogni gol in più è benvenuto, e quando mi fermerò mi fermerò. Non faccio programmi.

A Cagliari c’è Anastasia, la sua fidanzata, specializzanda in pediatria. Come vivete il rapporto a distanza?

Ormai è da tanto che facciamo questa vita. Lei non può trasferirsi e io non posso tornare in Sardegna per giocare in C2 nella Torres. Sarebbe un passo indietro troppo grande quando sono al top della mia carriera. Ci vediamo una volta al mese, quando riusciamo. Andiamo avanti sentendoci e tenendo vivo il rapporto così. Poi il volo diretto ci mette 30 minuti, per fortuna.

Molto meno del treno Sassari-Cagliari.

Gabriele Lippi

(immagine da www.si24.it)

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