Venezia, commuove la Dench in ‘Philomena’, applausi per il viaggio di Locke

Davanti all’ “Excelsior”, meta di folla decisamente eterogenea composta soprattutto da curiosi e cacciatori d’autografi più che da addetti ai lavori, la gente passeggia e si fa fotografare di fronte ai grandi poster de “L’arbitro” di Paolo Zucca, dove campeggia, in posa plastica, Stefano Accorsi. Sono gli ultimi giorni di questo settantennale della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, i giochi non sono ancora fatti, perché qualche sorpresa filmica, all’ultimo momento, può manifestarsi ancora, ma alcune preferenze della critica e del pubblico sono evidenti e i giornali specializzati li sintetizzano con il metodo meno scientifico in assoluto, quello delle “stelline”…

In concorso, finora, il più amato e applaudito rimane “Philomena” di Stephen Frears: una storia commovente senza essere sdolcinata, una sceneggiatura di ferro, un’interpretazione straordinaria di Judi Dench e di tutto il cast: chi oserà doppiare questi interpreti perfetti nell’edizione italiana?

La sorpresa, invece, è stato un film fuori concorso, che -soprattutto grazie al passaparola- ha segnato sold out in tutte le sale in cui è stato proiettato con applausi finali sentiti. Si tratta di “Locke” di Steven Knight con un sorprendente Tom Hardy; un viaggio in macchina notturno verso Londra alla ricerca dell’essenza della dignità e del proprio rispetto, solo con la compagnia delle continue telefonate filtrate dal Bluetooth. Un film, che, come è capitato in altre edizioni della Festival, inizierà un percorso di ottimo successo, per smentire chi crede che il pubblico abbia bisogno solo di blockbusters e di commedie demenziali per pagare il biglietto in sala.

Forse la star più assalita non è stata George Clooney, ma Daniel Radcliffe, il quale supportava un film estremamente interessante di John Krokidas, “Kill your darlings”, dove interpreta il grande poeta della Beat generation Allen Ginsberg, disponibile con coraggio a mostrarsi anche in scene “erotiche” gay. Radcliffe dal fisico minuto, ma elegantissimo in completo blue, ha accettato le follie degli esuberanti fans, che lo vorrebbero Harry Potter per tutta la vita, ma soprattutto le decine di domande cretine di giornalisti senza fantasia (“ma davvero così come si uccide metaforicamente il padre, vorrebbe uccidere il Maghetto”?).

Altra sorpresa, nella sezione “Orizzonti”, “Still life” di Uberto Pasolini, il celebre produttore di “Full Monty”, un film su una piccola storia di un uomo modesto, senza effetti speciali, ma che in Sala Grande ha commosso tutti e ha provocato un’ondata di applausi senza fine. L’opera migliore in una sezione diventata schizoide, dove si può trovare ogni tipo di genere cinematografico, dall’opera di buon gusto all’horror banale (vedi il mediocrissimo “The sacrament” di Ti West). A questo proposito, in questi giorni festivalieri, è sorta la domanda su cosa c’entrino in questo contesto alcuni film veramente inconsistenti, seppure fuori concorso, come l’orrendo splatter, scritto coi piedi, “Wolf Creek 2” o il mattone in 3D (ma la proiezione in Sala Grande si è interrotta per cause tecniche di fronte a regista, cast e ideatore del personaggio…) “Harlock, Space Pirate”, deludente per chi è stato bambino negli anni Ottanta, quando la serie cartoon arrivò in Italia. Per lo spettatore sardo, rimane ancora una curiosità: l’accoglienza al “Rosa Nudo” di Giovanni Coda, evento speciale  il 7 settembre della sezione “Queer Lion”.

Elisabetta Randaccio

 

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