“Su Re” di Columbu nelle sale dal 21 marzo. Il regista: “Lo dedico a mio padre”/FOTO

“Una produzione difficile e impegnativa”, così il regista Giovanni Columbu sintetizza il suo ultimo film “Su Re”, che uscirà nelle sale sarde dal 21 marzo e, dal 28 dello stesso mese, anche nel resto d’Italia, distribuito dalla “Sacher” di Nanni Moretti. Columbu, nella conferenza stampa a cui hanno partecipato una parte degli interpreti e dei tecnici, mentre erano assenti (impegnati nel disegno della Finanziaria 2013) gli amministratori regionali, che, in parte -finanziamenti della presidenza e Assessorato alla Cultura attraverso la Legge Cinema – hanno supportato economicamente “Su Re”, ha raccontato l’avventura produttiva del film. Le settimane di lavorazione sono state nel complesso nove, ma “spalmate” in due anni, con interruzioni di vario tipo. Lo spettatore non ha ragione d’accorgersi né di questo dato né del fatto che il budget dell’opera sia stato di soli 800mila euro, assolutamente esiguo se si pensa ai costi di realizzazione di un film in questo periodo.

Probabilmente proprio tale gestione così travagliata ha creato i prodromi per un’opera esemplare, molto bella e toccante. Il montaggio, a cui Columbu ha ammesso di aver riflettuto per un anno e averlo, poi, realizzato in una settimana, è perfetto. Il regista rivela di aver dovuto sacrificare molto materiale di cui era, comunque, soddisfatto (tornerà negli extra di un futuro DVD), ma chi vede il film pensa che la scelta narrativa e stilistica sia la migliore possibile. “Su Re” prende il via da una straziante Pietà fuori dagli schemi: il Cristo è già deposto nel sepolcro, con le palpebre semi aperte, come quelle del Gesù morto di Andrea Mantegna; la Madonna non ha nessuna caratteristica estetica, come d’altronde suo figlio, riecheggiante canoni improbabilmente fascinosi. E’ una anziana madre sconvolta, che non riesce a farsi una ragione di quell’omicidio. A questo punto, inizia il flashback, il quale sembra legare il pensiero, i ricordi, i tormenti dei protagonisti (pensiamo soprattutto a Giuda) alle esigenze in “soggettiva” di chi osserva la vicenda: regista e, conseguentemente, spettatori. Mai è sembrata più necessaria e fondante l’ambientazione e la lingua sarda.

La prima ha la sua forza negli aspri e efficaci paesaggi del monte Corrasi e Columbu ha raccontato le difficoltà delle riprese su strade sterrate “raggiungibili soprattutto in land rover o a piedi. Quegli stessi viottoli realizzati nel 1966 per girare un episodio della “Bibbia” di John Huston. Avevamo creato dei “campi base” perché veramente risalire fino in cima era una fatica immane.” L’uso della lingua sarda si salda fortemente nella vicenda cristologica ambientata in un mondo agro pastorale primitivo, fuori dal tempo, dove una comunità chiusa e diffidente elimina chi può creare scompiglio, mettendo in evidenza un’espressività drammatica verbale inusuale nel cinema.Il padre del regista, Michele Columbu, ha partecipato alla sceneggiatura insieme al figlio, che ricorda la puntigliosità con cui quest’ultimo si concentrava sulla traduzione in sardo dei Vangeli. A Michele Columbu, scomparso lo scorso anno, d’altronde, è dedicato il film, mentre la sua voce lo introduce e lo chiude con una bella forza di poesia straniante. A ciò si aggiunge la ricerca degli interpreti, dai visi ancestrali, lontani paradossalmente – dato che si tratta nella maggioranza di attori non professionisti (alcuni sono utenti di centri di salute mentale) -, da uno scontato realismo, semmai evocanti le folle dei dipinti della storia dell’arte o una scelta fisiognomica di tipo quasi pasoliniano.

Per Columbu lavorare con gli attori è stato “un processo di conoscenza incredibile e tutti hanno partecipato con passione”. Il regista, poi, ha qualche rammarico: forse con una tempistica diversa, avrebbe potuto realizzare un’opera completamente affine suoi progetti, forse avrebbe potuto far commentare il film da una colonna sonora, che avrebbe messo in evidenza meglio la potenza delle immagini. Un creatore vero non è mai soddisfatto, nel caso di “Su Re” la forza artistica del regista già dà l’anima alle immagini. E il pubblico deve andare in sala a coglierla.

Elisabetta Randaccio

(Foto di Rosy Giua. Clicca sulle foto per ingrandirle)

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