Rockwool cronaca di una beffa industriale

E’ una bella giornata di sole, questa mattina del 21 novembre, ma dentro la galleria il sole non arriva; dall’interno, oltre il cancello in ferro battuto e lavorato in modo artistico, che sbarra l’ingresso, fuoriesce un forte odore di muffe, dovuto all’alto tasso di umidità. Sulla destra del cancello una targa, quasi una beffa per questi lavoratori, perché recita così: “ I lavoratori Igea a perenne ricordo di coloro che nella miniera sacrificarono la vita”. Poi capiremo perché.

I minatori sono sempre là, ormai da dieci giorni, sono ancora in attesa, un’attesa impaziente, snervante, distruttiva, nel corpo e nell’anima.
Mi avvicino, chiedo loro come stanno; domanda un po’ banale, viste le condizioni di vita che stanno subendo; la loro risposta è eloquente: “ bene, se non fosse per l’umidità al 100 %, il giacilio un po’ scomodo e la nostra vita fatta a pezzi” dice Minatore 1, così vuole essere chiamato l’operaio che mi risponde; arriva con un passo stanco, la sua voce è rocca, sarà per l’umido che patisce; sotto il casco da minatore con la lampada, un passamontagna che fa intravedere solo gli occhi, due grandi occhi da cui traspare una profonda tristezza . All’interno, con lui, riesco a intravederne altri tre; sembrano zombi che vagano senza meta. Mi racconta: “ sono a pezzi, nel morale, nello spirito e nelle tasche; avevo mia figlia all’università, ho dovuto farle interrompere gli studi, troppe spese; una semplice pizza è diventata per noi un lusso; ma una cosa voglio dirla: mi riempie il cuore di gioia sapere che c’è ancora tanta solidarietà intorno a noi che si manifesta con semplici gesti, come una teglia di pasta al forno calda o un thermos di caffè bollente”. I suoi grandi occhi diventano di colpo lucidi; poi, per orgoglio,li abbassa.
All’esterno i loro compagni hanno sistemato un piccolo gazebo, un rifugio di fortuna, dove parlano, discutono e aspettano; aspettano che qualcuno gli porti delle notizie positive, notizie che gli permettano di uscire da quell’ambiente così ostile e di ritornare dai propri cari.
Di fianco, la scuola materna, da cui fuoriescono le urla gioiose di bambini spensierati, che stridono col dolore che stanno provando gli operai in occupazione, a cui tutti vorremmo assicurare un futuro più sereno di questo.
Non si danno pace, gli operai della Rockwool, non accettano di essere trattati come diversi rispetto ai loro colleghi che invece, a due passi da loro stanno lavorando, i loro fratelli dell’Igea; si perché tutti loro, i 54 operai della Rockwool che sono finiti nel tritacarne della mobilità, hanno le stesse origini dei loro fratelli che oggi hanno la targhetta Igea stampata sulla giacca da lavoro.
Tutto ha inizio nei primi anni ’90 quando, dietro spinte politiche e riformiste, si decise che le miniere dell’iglesiente avevano fatto il loro tempo; una decisione troppo repentina per una storia mineraria lunga di secoli; infatti le ripercussioni sociali non si fecero attendere.
Fu varata la Legge n. 221/90 che aveva l’obiettivo di modificare la politica mineraria, in un ottica europea, elevandone il livello di economicità mediante la ristrutturazione e la riconversione delle strutture minerarie esistenti, promuovendo la ricerca e mantenendo, valorizzandole, le professionalità esistenti nel settore. Nacque così la Isolrock Lana di Roccia S.p.A. , azienda partecipata per il 98% dalla Progemisa e per il restante 2% dalla Partek, azienda finlandese. Per farla marciare furono chiamati i minatori della Bariosarda con la promessa, dice Tore Corriga della RSU-CGIL della Rockwool, “ che avrebbero prodotto lana di roccia fino alla tanto agognata pensione”. Furono centinaia i minatori da ricollocare che lasciarono le miniere del territorio; molti andarono in prepensionamento, altri trovarono altre sistemazioni, altri ancora furono ricollocati in altre realtà finanziate sempre con la Legge 221, come la fabbrica di CD, un’altra di piastrelle, un’altra ancora di biciclette, tutte o quasi ormai defunte.
La Isolrock era l’unica azienda italiana a produrre lana di roccia ed aveva anche un’ottima qualità; la produzione iniziò nel ’93 ed andò avanti con questo marchio fino al ’99 quando la fabbrica fu rilevata dalla danese Rockwool, multinazionale leader mondiale nella produzione di questo materiale isolante. Sotto la gestione danese la fabbrica fece grandi risultati in termini economici, tanto che nel 2007 la dirigenza del Gruppo gli assegnò il più importante premio di produzione.
Ma la gioia e la tranquillità durò ancora per poco, infatti ai primi del 2009, come un fulmine a ciel sereno, l’Azienda comunicò l’intenzione di chiudere e smantellare la fabbrica, intenzione poi formalizzata con una mail al Sindaco di Iglesias.
Iniziarono le lotte operaie con l’occupazione della fabbrica, con l’intento di evitarne lo smantellamento, che andarono avanti fino a tutto il 2009 e nei primi mesi del 2010 occuparono anche il ponte di Campo Pisano, inaugurando una nuova forma di lotta che diventerà poi il Ponte per il Lavoro.
Proprio a Campo Pisano, a poche decine di metri da quel ponte, c’è la sede dell’IGEA, società nata dalle ceneri del settore minerario con il compito di bonificare i territori martoriati da decenni di attività estrattiva; in questi anni tutti i lavoratori fuoriusciti dal sistema minerario che non hanno potuto accedere alla pensione sono rientrati all’IGEA; perfino coloro i quali, pur avendo avuto una ricollocazione andata male o altri ancora un’indennizzo economico a fronte dell’esodo volontario, sono rientrati in questa società.
Oggi i lavoratori ex Rockwool si ritrovano nella medesima situazione dei loro ex colleghi: l’azienda che lo Stato aveva creato per loro, in alternativa alle miniere, passata in mano privata, aveva dato forfait, per cui oggi chiedono, legittimamente, che le stesse sorti riservate ai loro colleghi minerari vengano concesse anche a loro.
Per ottenere quello che loro ritengono un diritto acquisito vorrebbero evitare le vie legali, seppur praticabili, e ripercorrere quelle forme di protesta che gli hanno dato visibilità in questi tre anni di dure lotte come l’occupazione della galleria, già in atto; probabilmente verrà portato nella piazza di Monteponi il Rockbus e forse si organizzerà una nuova edizione del Festival (Rock)Wool; tutto ciò se la politica, sempre la stessa, non farà la sua parte assumendosi le proprie responsabilità.
Ora i lavoratori, nell’umido e al freddo della galleria, attendono che il Prefetto, chiamato in causa, interceda affinchè la loro situazione si sblocchi trovando una soluzione decorosa per loro e le loro famiglie.

Carlo Martinelli

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share