Holodomor, il genocidio dimenticato. A Cagliari un monumento alla memoria

Un popolo tormentato e isolato, costretto alla fame e privato di ogni mezzo di sussistenza davanti allo sguardo imponente dell’Europa: accanto allo sterminio degli ebrei, la Shoah, che oggi si ricorda in tutto il mondo con la Giornata della Memoria, esiste nel mondo occidentale un altro genocidio, meno conosciuto ma altrettanto tragico. Holodomor è lo sterminio degli ucraini messo in atto da Josif Stalin tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso: un fatto storico ormai studiato e documentato che per molto tempo è stato negato dal governo ucraino.

“La colpa di quello che accadde al nostro popolo non è certo dell’Ucraina di oggi ma del regime che in quegli anni ha pianificato lo sterminio” ci racconta Volodymyr ‘Vladimiro’ Stepanyuk, 52 anni, ucraino di Novovolynsk che da anni vive in Sardegna. Per vedere accettato ufficialmente quanto accaduto ci sono voluti oltre 70 anni: nel 2006 il presidente Viktor Yushchenko ha firmato la ‘Legge dell’Ucraina sull’Holodomor del 1932-1933″ che riconosce il genocidio e definisce illegale la sua negazione.

Oggi i tragici fatti di quegli anni sono ben noti ma il mondo occidentale in parte lo ignora. Cagliari è stata la prima città dell’Europa occidentale, e la prima in Italia, che ha commemorato Holodomor con un monumento pubblico: lo scorso dicembre con una cerimonia  a cui ha partecipato anche l’ambasciatore ucraino in Italia è stata presentata la scultura realizzata da Armandino Lecca sistemata all’interno del Parco di Monte Claro. Un monumento che per la comunità ucraina in Sardegna è anche un impegno a ricordare e raccontare affinché queste tragedie non si ripetano più.

“In quegli anni il governo di Stalin mise in atto una carestia artificiale ai danni del popolo ucraino ‘colpevole’ di essersi opposto al regime e di avere rifiutato l’unificazione religiosa e culturale con la Russia – ci racconta Vladimiro Stepanyuk – Fu negata la sussistenza economica, i cibi vennero razionati e fu imposta la legge delle cinque spighe, i raccolti dei campi confiscati e così anche gli attrezzi del lavoro e il bestiame. Le persone erano confinate nei loro villaggi e l’esercito vigilava perché non si spostassero”. La classe sociale contadina era vista da Stalin come un ostacolo alla sovietizzazione della società e gli ucraini erano inoltre custodi di una cultura molto forte e radicata. Oggi si calcolano tra i 7 e i 10 milioni di ucraini morti durante quella che fu, di fatto, una carestia pianificata: la maggior parte morì di stenti ma ci furono anche suicidi provocati dallo squilibrio psichico e dal collasso sociale.

Il monumento a Holodomor del Parco di Monte Claro a Cagliari è stato fortemente voluto dalla comunità ucraina sarda: una comunità numerosa che conta circa 2300 emigrati, il 4,9% degli stranieri residenti nell’Isola, e ben integrata, costituita soprattutto da donne. “Il motivo che spinge molti miei connazionali a venire qui è il lavoro – sottolinea Stepanyk – qui si trova occupazione soprattutto nel campo dell’assistenza alla persona, ecco perché la maggior parte sono donne. Molti di noi hanno studiato all’università ma il nostro titolo qui non ha alcun valore: io, ad esempio, mi sono laureato nel 1991 in ingegneria con la specializzazione in sistemi ottici elettronici, ma qui non ho mai lavorato in questo settore. Ho fatto il giardiniere, il custode, il lavapiatti, ora ho trovato un impiego come mediatore culturale. Il 60% delle ucraine che arrivano qui ha una laurea in tasca ma non possono sfruttarla. Da noi, comunque, non ci si vergogna di fare lavori umili, anzi consideriamo vergognoso non lavorare”.

Francesca Mulas

 

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