“Cerco le affinità tra noi e il male” a Gavoi la malaeducazione di Albinati

E’ crivellato di dubbi il pensiero di Edoardo Albinati. Un fiume di pensieri, di disgressioni, di immagini che si affollano, immagini potenti che vorrebbero svelarsi immediate tutte insieme, e poi frenano, tornano indietro, fanno dei giri lunghissimi, e all’improvviso ti esplodono in faccia, lasciandoti solo e disorientato.

Favorito il prossimo 8 luglio al Premio Strega con La scuola cattolica (Rizzoli) tomo da 1300 pagine che parte dall’educazione maschile passando per il massacro del Circeo, Albinati studia un grappolo sovrapposto di narrazioni per raccontare “le affinità tra noi e il male. E la mala-educazione sessuale. Una necessità che mi arriva nel 2005, quando uno dei tre assassini del Circeo, uccide di nuovo. Erano miei compagni di scuola al San Leone Magno quegli assassini. Una vicenda cui dedico solo poche pagine, perché il punto per me è cercare di capire che cosa ci sia alla base di una così bassa considerazione della donna e del mondo femminile, e per farlo parto dalla storia di una scuola maschile, una scuola modello per la società borghese, con i campi sportivi e la piscina, ma dove l’unica immagine di donna era quella di Maria Vergine”. Una storia dunque tutta al maschile quella di Albinati che per scrivere il romanzo ha impiegato nove anni, storia che poi si è ripetuta anche nel mondo in cui tuttora lavora, la sezione maschile del carcere di Rebibbia dove insegna letteratura “e dove già venti anni fa mi battei con forza per riuscire a far entrare a scuola i transessuali e immettere finalmente un elemento di distinzione, di attenzione, di cura, all’interno della classe. Gli ambienti omosociali mi infastidiscono, li trovo volgari, mi annoiano”.

Parole e pensieri che si sovrappongono per una conversazione che viaggia a un ritmo a tratti dissonante, mentre Albinati cerca di trovare le parole giuste per raccontare e raccontarsi. I temi sono tanti, troppi, spesso laceranti: il sesso, lo stupro, il corpo femminile come teatro dell’annientamento. Alla base si avverte una violenza potentissima, con cui lo stesso autore sembra dover fare ancora i conti, e una  frustrazione sotterranea che sottende a tutte queste azioni messe insieme.

Verso la fine, nello spazio di piazza S’Antiocru, c’è spazio finalmente anche per la parola amore e per la tenerezza, perché “il libro è anche una lunga difesa della reificazione del corpo altrui, quando il momento più alto tra due amanti è sentirsi diventare una cosa tra le mani dell’altro”. Ci vorrà del tempo per leggere tutte queste pagine così importanti. Un tempo necessario per venire a patti con la nostra idea di corpo e la nostra identità.

Donatella Percivale

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