Cabiddu: “Una commedia popolare pensando a Shakespeare ed Eduardo”

Nella Tempesta di William Shakespeare, nell’atto quarto, Prospero pronuncia una delle battute più belle e inquietanti: “siamo fatti anche noi della stessa materia dei sogni e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita”. Ecco, nell’ultimo film firmato da Gianfranco Cabiddu, girato interamente all’Asinara (tra gli interpreti Sergio Rubini e Ennio Fantastichini) e il cui esordio in sala sarà il primo dicembre, la materia dei sogni diventa “la stoffa” a evocare da subito i costumi degli attori di teatro, magari quelli più bistrattati delle piccole e modeste compagnie. Ma anche queste ultime sanno produrre sogni e emozioni, forse attraverso questi danno senso alla realtà. Per scoprire i particolari di un film atteso, non solo in Sardegna, abbiamo chiesto a Cabiddu di raccontarcene il senso. Lo abbiamo rintracciato, mentre sta già completando un altro lungometraggio.

In che nuovo progetto si sta impegnando?
Sto lavorando al montaggio di un nuovo film, una co-regia con Mario Tronco, sul Flauto magico di Mozart messo in scena dall’ “Orchestra di Piazza Vittorio”, che questi musicisti portavano nei teatri da tanto tempo. Da questa messa in scena è nato un progetto e una sceneggiatura. Lo abbiamo girato d’estate tra luglio e agosto; in questo momento siamo nella fase di montaggio.

Sarà un “Flauto Magico” molto speciale…
È un film fantasioso come fantasiosa è questa orchestra incredibile con musicisti provenienti da tutto il mondo. Abbiamo, poi, inserito qualche personaggio, qualche attore che vivacizzasse la storia. Per esempio, al posto della cantante inglese già adulta, la quale non ha potuto partecipare, perché diventata madre nei mesi scorsi, abbiamo una ragazzina più consona, forse, alla parte, mentre il principe è interpretato da Fabrizio Bentivoglio, anche uno degli autori della sceneggiatura.

Dunque è un’esegesi originale?
È un film con moltissimi effetti speciali dato il genere fantastico, ma c’è da dire come pure ne La stoffa dei sogni non mancano questo tipo di effetti. La tempesta iniziale, per esempio, è totalmente finzione digitale. Mi era già capitato altre volte di utilizzare questi “trucchi”, le tecniche di questo genere sono avanzate, la maggior parte di tale lavorazione la devi svolgere con i tecnici.

Il soggetto de La Stoffa dei sogni incrocia Eduardo De Filippo, Shakespeare e direi anche una certa vena pirandelliana che ha mostrato già nel Figlio di Bakunin.
Ho avuto la fortuna, quando ero ancora molto giovane, di incontrare Eduardo De Filippo; sono stato un suo collaboratore negli ultimi cinque anni della sua vita. È stato formativo, poi, quando lo accompagnavo alle prove dei suoi spettacoli, oppure nei giorni in cui ho seguito la sua scuola di drammaturgia all’Università. In quegli anni, lavoravo proprio per l’Ateneo di Roma, come etnomusicologo; si realizzavano dei documentari sulle tecniche attoriali. Abbiamo, in seguito, composto un progetto sul teatro del Novecento e in quel contesto proprio ho conosciuto Eduardo. Ho iniziato a collaborare con lui come tecnico del suono. A questo punto, ho partecipato alla registrazione de La Tempesta di Shakespeare che il grande drammaturgo aveva tradotto in napoletano, nella quale recitava tutti i personaggi. In seguito, questa performance è stata presa in mano dal figlio Luca.

L’interesse per La tempesta è nato in quell’occasione…
Con Eduardo incidevo e montavo. É stato un lavoro durato molti mesi, perché riusciva a leggere solo poche pagine al giorno, affaticando esageratamente la voce, dato che la cambiava per ogni personaggio. Così questo nastro è stato portato nei palcoscenici italiani con la compagnia di marionette dei Colla, le quali si muovevano sulla voce di Eduardo e sulle musiche di Antonio Sinagra. Insomma, questo testo mi è rimasto dentro, unito alla passione per Shakespeare, nata negli anni dell’Università quando vidi l’ Othello nella versione filmica di Orson Welles.

Ma quando effettivamente hai avuto l’idea di farne un film?
L’idea mi è tornata in mente nel momento in cui sono venuto a conoscenza come l’isola dell’Asinara fosse divenuta libera dal carcere. Per prima cosa vi ho fatto un’escursione, in seguito l’ho intuita come l’isola di Prospero, dove ci sono gli animali selvaggi, l’essere stata una terra, per certi versi, tutelata dall’uomo, ha dato la possibilità di esistere a una fauna particolare, bellissima, bestie bizzarre, un mondo incantato. Dentro di me ho immaginato come anche Shakespeare, pensando a quel luogo così speciale in una rotta che da Tunisi va a Napoli, escludendo la Sicilia a quei tempi assai evoluta, forse, avesse pensato all’isola di Prospero identificandola con la Sardegna.

L’Asinara è stata il vero punto di partenza, quindi?
L’isola mi ha dato la spinta al progetto, ma volevo fare un film non un’opera teatrale e allora ho ripreso un testo di Eduardo che avevo amato molto e la sua intuizione di interpretare e leggere Shakespeare in maniera popolare.

GUARDA IL TRAILER DE ‘LA STOFFA DEI SOGNI’

 

Shakespeare scriveva pensando agli spettatori che affollavano il suo teatro
Gli autori dell’epoca elisabettiana scrivevano per il pubblico, che era il loro referente principale, erano naturalmente popolari. La mia idea era di voler fare un film popolare. Dunque, ho preso l’incipit de L’arte della commedia di Eduardo, il racconto di una compagnia di guitti a cui viene a mancare il teatro costretta ad andare a chiedere aiuto all’autorità, che, da giovane, aveva fatto l’attore, ma ora, da adulto, ha la convinzione della inutilità della cultura. Però, si trova nell’impaccio di doversela vedere con “casi umani” e non capisce quanto le loro storie siano finte o reali. Ho usato, in un certo senso, questo incipit facendo naufragare, però, sull’isola una compagnia di guitti la quale “nasconde” quattro camorristi. Dunque, il responsabile dell’isola chiede agli attori di rappresentare proprio La tempesta, un po’ per divertirsi un po’ per capire chi siano i veri teatranti e chi i criminali. I guitti, per la prima volta, si trovano a recitare Shakespeare e, per essere tutti credibili, il capocomico ne traduce il copione in napoletano. Ugo Chiti, che ha sceneggiato con me il film, con la sua esperienza drammaturgica, mi ha aiutato tanto ad “asciugare” il testo. La stoffa dei sogni è una commedia, si ride tanto, è creata per il pubblico, quello che si gode il cinema in sala, come un rito piacevole.

Ha inserito altri elementi contenutistici in questa particolare Tempesta?
Direi una sorta di riflessione sulla sardità. Il personaggio di Calibano che, nella Tempesta è il re spodestato da Prospero, risponde al suo rivale come lo farebbe un sardo mentre riflette sui rapporti con l’Italia: l’isola era la mia, io ero un re, voi mi avete reso schiavo, l’unica cosa che ho imparato è una lingua che, però, non è la mia lingua, così ti posso maledire in un idioma capito da entrambi. Quindi c’è una considerazione sulla lingua, sulla colonizzazione. Calibano comprende molto di se assistendo allo spettacolo, usando la cultura per riscattarsi, un po’ mettendo in pratica ciò che Gramsci diceva, ovvero, studiamo molto proprio per affrontare chi vuole dominarci.

Come è stato il rapporto con il cast?
Anche in questo senso, abbiamo avuto un regalo dall’isola. Abbiamo, grazie alla Conservatoria delle coste e al Parco, realizzato un qualcosa di pionieristico. Così abbiamo potuto dormire nelle case dell’Asinara e, rimanendo da soli la sera, si creava una condivisione gioiosa, che prevedeva di cenare insieme, come fossimo in un piccolissimo paese. Questo ha creato una coesione importante, visto che avevo nel cast attori di cinema e di teatro molto differenti, con esperienze diverse. Assai interessante, tra gli altri interpreti, è stata questa ragazzina francese, Anna Gaia Bellugi, figlia di un attore italiano che andò a lavorare in Francia per la compagnia di Ariane Mnouchkine e ne sposò la costumista. Già da bambina fece l’attrice con la grande regista francese di teatro, ha lavorato in tanti film, compreso nel successo internazionale Quasi amici e anche con Francois Ozon. Parla italiano e ha portato una ventata di innocenza, di semplicità nel film e nel cast, di cui é diventata la mascotte, così adatta a un personaggio capace di innamorarsi improvvisamente… di un camorrista!

Elisabetta Randaccio

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