Alle 10 di mattina, c’è già il sole che scortica. E Gavoi brulica di gente, come fossimo a Cagliari al mercato di San Benedetto. All’appuntamento di S’Antana E Susu, Anna Piras e Chiara Gamberale dissertano di vita, scrittura e letteratura. Il silenzio si taglia con il coltello. Ed è sempre un piacere ascoltare lo sgranarsi di parole intelligenti, al fresco di ortensie e gerani in fiore.
Gamberale, vista da quel balconcino all’ombra, è ancora più fragile delle protagoniste dei suoi romanzi, aerea e pallida, ma dalla voce ferma e sottile. “Non sono figlia di intellettuali, mio padre è ingegnere e mia madre ragioniera. Ho un senso del dovere molto forte, e il dolore più della tranquillità e dello stare bene, suscita il mio interesse. Sono diventata grande presto, e per strada mi sono persa molte cose. Per questo, ogni giorno, mi concedo 10 minuti solo per me, mi dedico a qualcosa che non ho mai fatto prima. Come camminare all’indietro per le strade di Roma, cercando di lasciare libera la mente”.
Il dolore come strumento di conoscenza, nel tentativo continuo di educarsi e smarcarsi da una forma di compulsività che lascia pochi margini alla leggerezza. “Questi anni mi fanno paura, siamo tutti sempre iperconnessi, la Rete ci plasma, ci circonda, non siamo mai soli. A volte ho nostalgia di quegli anni di bambina, quando aspettavo mia madre all’uscita di scuola, e stavo lì, assorta nel silenzio animato da mille fantischerie, e la vita mi sembrava così bella”.
Donatella Percivale