Marco Pinna, il chitarrista che ha stregato gli Usa: “La mia carriera da Strehler a Chester Thompson”

«Ho cinquantotto anni, portati con disinvoltura. Infatti non ho ancora cominciato a pensare a che cosa farò da grande». Marco Pinna è di una semplicità spiazzante e complessa, butta lì frasi apparentemente astruse e contraddittorie; in realtà è l’unico modo per descrivere le sue molte vite racchiuse in una sola biografia. Chitarrista per vocazione, diventata professione grazie alla tv .«Un giorno vidi un programma con quattro ragazzi che suonavano, erano i Beatles, da quel momento ho iniziato a studiare e a esercitarmi per conto mio col chiodo fisso di imparare al meglio». L’artist,a originario di Oristano, vive da due anni negli Usa, a Nashville.

Nella capitale del Tennessee, famosa per il country ma ormai punto di riferimento per tutte le sperimentazioni, c’è arrivato grazie all’intuizione e alla determinazione di un manager locale: «Ha sentito alcuni miei pezzi su internet e mi ha mandato un messaggio nel quale c’era la bozza di un bel contratto pronto da firmare e la richiesta di trasferirmi negli States. Non mi sono fatto pregare, così sono salito sull’aereo con mia moglie e la mia chitarra. Attualmente ho un visto speciale che mi permette di stare qui».

Non che in Europa le cose andassero male, anzi: le sue performance gli avevano già fatto guadagnare una discreta notorietà. Lasciata la Sardegna nel 1979, Marco ha espresso ben presto il suo talento, lavorando negli anni ottanta con il maestro Giorgio Strehler; nel 2007 ha realizzato al progetto “Ses Cordas” con un altro chitarrista sardo, Roberto Diana. Nel 2011 il trasloco negli Usa. «Faccio solo e soltanto la mia musica. La chitarra con le corde in nylon, il mio strumento principale, qui è una novità assoluta e gli americani apprezzano proprio quest’aspetto».

Vita da nomade della musica che traspare anche nei suoi pezzi, caleidoscopio di sonorità che lui stesso definisce «incrocio di molte culture», Marco Pinna racconta volentieri e con entusiastica dovizia di particolari la sua quotidianità a stelle e strisce. «La mia giornata inizia alle sei del mattino, dopo un caffè e qualche lettura mi esercito seguendo una tabella piuttosto lunga e impegnativa al termine della quale lavoro nel mio studio per poi dedicarmi alle pubbliche relazioni. Spesso mi esibisco anche in altre parti del Paese, viaggio moltissimo e sovente mi capita di perdere la cognizione del tempo e dei posti perché tutto avviene in maniera veloce. Qui negli Usa – chiarisce – fare il musicista equivale ad avere un’azienda che ha bisogno per andare avanti di più figure: manager, avvocato, commercialista e agenzia di booking. Insomma, devi avere il profilo di un uomo d’affari con una struttura solida alle spalle che sia capace di sostenerti; il talento e l’unicità non bastano, devi essere serio e affidabile. Dal mio punto di vista gli Stati Uniti sono meravigliosi, lo Stato funziona benissimo ed è leale col cittadino, le regole sono poche e chiare. La libertà qui è sacra. Se vali, ti apprezzano e ti aiutano. Le persone in media sono molto cordiali e alla mano, darsi arie non è concepito. Per quanto ho potuto vedere sinora, il difetto è di non possedere un’identità culturale forte, anche perché stiamo parlando di una nazione giovane; per il resto ci saranno anche altri lati negativi, tuttavia io non li ho ancora notati».

Nonostante manchi dall’Isola da più di trent’anni, il chitarrista rivela: «Nei miei brani non mancano i riferimenti alla mia terra che è fonte incredibile d’ispirazione. La Sardegna non è solo suoni, ma anche profumi, sapori, mare e luoghi che comunque mi mancano. Quando torno a Oristano, adoro passeggiare nel centro storico, soprattutto di notte, quando l’atmosfera mi comunica chiaramente che io, comunque, appartengo a questa città, anche se sono in capo al mondo. Qui ho amici straordinari che porto sempre nel cuore. Il risvolto che non mi manca e che ho percepito quando sono andato via è l’invidia, unita alla tendenza ad affossare chi si dava da fare; non so se le cose siano cambiate col tempo, ma, lo spero».

Tra un ricordo e l’altro, Marco Pinna accenna anche ai suoi progetti professionali con un pizzico di sana scaramanzia e malcelato orgoglio: «Sto lavorando al mio primo cd americano, ti posso solo anticipare che alla batteria ci sarà Chester Thompson, al basso Victor Wooten, mentre alla chitarra ritmica avrò Kyle Nightingale. Saranno tutti fisicamente con me al momento della registrazione in studio. Il produttore è Denny Jiosa, il chitarrista di smooth jazz nominato per ben quattro Grammy Award».
Un bel traguardo, quasi raggiunto in pochissimo tempo, grazie al lavoro e alla volontà: «A chi vuol seguire la mia strada, mi sento di raccomandare sacrificio, applicazione costante e onestà intellettuale, sono tre ingredienti che possono portare molto lontano e la mia esperienza lo dimostra».

Giovanni Runchina

 

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