Marcello Solinas, uno scienziato sociologo a Poitiers

La sua guida, nella vita e nel lavoro, è la curiosità; la tiene saldamente per le redini e, quando occorre, la lascia galoppare liberamente. Marcello Solinas è uno scienziato che non ti aspetti: rigoroso e attento a trecentossessanta gradi, volge lo sguardo ben oltre il chiuso sterile del laboratorio. Cagliaritano, laureato in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 1999 con una tesi su “Gli effetti psicostimolanti di cocaina e anfetamine sul cervello” con Gaetano Di Chiara, vive e lavora al CNRS (Centre national de la recherche scientifique) di Poitiers in Francia. A Cagliari ha lasciato quasi tutti gli affetti (madre e tre sorelle) e un posto sicuro nella farmacia di famiglia per esplorare il mondo. Passione che condivide col fratello Paolo, astrofisico a Helsinky.
Nella città di Carlo Martello, Marcello Solinas ha trovato spazio per fare ricerca in maniera eccellente. «I miei studi – esordisce – sono concentrati sugli effetti dell’ambiente e dello stile di vita sulla tossicodipendenza». Trentotto anni, sposato con Nathalie che lavora nell’università locale, è padre di tre bambini: Alessia, 8 anni, Giovanni, 5 anni e Luca, 9 mesi «tutti nomi tipicamente francesi», sottolinea divertito.
Ma la sua storia, di lavoro e di vita, è iniziata da tutt’altra parte, negli Stati Uniti. «Sono partito senza avere un’idea precisa in testa tranne quella di voler conoscere l’America, sapevo solo la lingua – racconta – e alla fine ho maturato un’esperienza molto bella». Oltreoceano si è fatto strada in un istituto di ricerca, il NAIDA, a Baltimore che faceva capo alla John Hopkins University. «La struttura era in un quartiere degradato, con un’alta concentrazione di tossicodipendenti – prosegue il farmacologo cagliaritano – e il primo impatto è stato molto duro tanto che, nei due mesi iniziali, mi rinchiudevo in casa dopo la giornata in laboratorio».
Nel Maryland, Marcello ha osservato lo strumento principe e più affascinante dell’uomo, il cervello, e pure il tessuto sociale: «Baltimore e il Maryland mi hanno offerto uno spaccato interessante. La società statunitense è meritocratica e al contempo spietata, monetizza tutto, attribuendo valore a ciascuno in base a quanto guadagna e a quanto produce. E’ una cultura che ti plasma sin dall’infanzia e con alcuni argomenti tabù quali le armi o il comunismo, impossibili da affrontare in una discussione quotidiana».
In terra americana, Marcello conosce Nathalie che poi diventerà sua moglie qualche anno dopo. Lo scienziato che indaga sui misteri del cervello stavolta ascolta il cuore che lo spinge a cambiare ancora: «Progettavamo una vita assieme – dice – e non volevamo stare negli Stati Uniti perché non ci piaceva l’idea di crescere i figli in quell’ambiente molto stressante e iper competitivo». Il farmacologo cagliaritano, dopo un’esperienza di grande livello, accarezza l’idea di poter lavorare finalmente in Sardegna da dove era partito cinque anni prima: «Ho provato a percorrere diverse strade ma senza fortuna, nessuno mi forniva garanzie».
Contemporaneamente, Nathalie si era già sistemata in Francia, all’università di Poitiers. Marcello la raggiunge, insegna per sei mesi nell’ateneo dove stava la moglie, e partecipa a concorsi nazionali per ricercatore: nell’ottobre del 2005 è assunto dal CNRS. Un anno dopo è in un team che scopre un farmaco che mima l’azione della cannabis con potenti effetti antidepressivi. Nel 2007, assieme ad altri colleghi, scova un recettore che blocca la dipendenza dalla cannabis. Tuttora il suo campo d’indagine riguarda le dipendenze e il loro legame con l’ambiente in cui si vive, come ha scritto in una pubblicazione del 2008 che ha avuto eco internazionale (Reversal of cocaine addiction by environmental enrichment ndr).
E qui il rigore scientifico si apre alla sensibilità sociologica: «Lo stress continuo e la competitività esasperata che sono alla base del nostro sistema sociale – spiega Marcello Solinas – contribuiscono ad aumentare di molto il rischio di assumere stupefacenti continuativamente. Per molti è un antidepressivo, per altri è un mezzo attraverso il quale ottenere determinati risultati. I governi dovrebbero porsi interrogativi di tipo politico perché occorre una risposta di questo tipo per contrastare il dilagare del consumo di alcune sostanze come, ad esempio, la cocaina che in Italia è diffusa in modo preoccupante. La socialità, il recupero di stili e di ritmi più umani è di grande aiuto ma questi cambiamenti non sono di competenza dei farmacologi. Servirebbe un ambiente positivo e inclusivo; sovente, invece, il senso di colpa porta alla solitudine mentre si dovrebbe agire, all’opposto, sul reintegro. Purtroppo l’uomo moderno è simile all’animale in gabbia col quale noi conduciamo gli esperimenti».
E in gabbia, per certi versi, si sente anche lui; tanto come studioso «siamo schiavi della produzione di pubblicazioni e di risultati e non abbiamo il tempo per la cooperazione e la condivisione», quanto come sardo all’estero. Nella lunga chiacchierata emerge, inesorabile, il fiume carsico della nostalgia: «La famiglia, gli amici e il mare mi mancano da morire, torno a Cagliari almeno due volte l’anno. Con i tanti amici sardi sparsi per il mondo, ci ripetiamo che dobbiamo rientrare, però sarebbero indispensabili moltissimi cambiamenti che reputo quasi impossibili nel breve periodo. Sento troppe persone che rimpiangono di essere rimaste in Sardegna e in una terra così bella e ricca come la nostra – conclude lo scienziato cagliaritano – non è una cosa accettabile».

Giovanni Runchina

 

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