Francesco Longu, funzionario europeo a Bruxelles: “Vi racconto il fascino discreto di una città dalle mille opportunità”

Tutto è iniziato nel 1997, quasi per gioco, e per fare un piccolo regalo al padre: «Avevo appena finito il liceo a Macomer e non sapevo a quale facoltà iscrivermi. Scoprii, consultando un libro, l’esistenza della laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia e decisi di fare il test d’ingresso; andai con mio padre che così poté tornare in Friuli dove aveva fatto il militare e, con mia grande sorpresa, superai la selezione». Quasi come un pedone svagato che, grazie a un colpo di fortuna, imbocca la strada giusta, Francesco Longu, azzecca ora e luogo dell’appuntamento col destino che, in pochi anni, lo porta nel cuore dell’Europa. Trentacinque anni, di Silanus, vive a Bruxelles dal 2002 assieme alla moglie Monica, conosciuta durante l’università, e alla figlia Giulia.

«Come moltissime persone che stanno qui – racconta – sono arrivato con l’intenzione di trascorrervi pochi mesi ma, per vari motivi, non me ne sono più andato». Il lavoro è tra questi. Funzionario europeo, da aprile scorso lavora nella Direzione generale Occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione: «La mia unità, costituita da dieci persone, cura la comunicazione web: l’Intranet, i siti della Direzione generale e del nostro Commissario, la presenza sui social media. Il lavoro è vario e appassionante».

Il suo è un racconto in cui luoghi, persone, esperienze sono una carrellata di fotogrammi che corrono veloci ma con contorni netti. «Il mio rapporto col Belgio è passato attraverso diverse fasi. All’inizio ci si sente spaesati e i difetti della nuova realtà sono ingigantiti. Col passare del tempo, si apprezzano maggiormente i pregi. In generale credo che il fascino di Bruxelles e del Belgio non siano immediati e richiedano tempo e pazienza per essere scoperti. La città, ad esempio, può contare su molti spazi verdi, una rete di trasporto pubblico efficiente e sul fatto di essere a misura di bambino. Anche l’offerta culturale è ampia e di grande livello; per gli amanti della musica è irrinunciabile il festival Rock Werchter. Poi, se proprio ci si stanca, Parigi dista un’ora di treno e Londra poco meno di due. Per quanto riguarda i lati negativi, è innegabile che i rapporti umani qui siano diversi, ma è vero che i lavori come il mio si svolgono in una “bolla”, non necessariamente a stretto contatto con la vita locale. Infine, come tutte le grandi realtà urbane, Bruxelles ha una certa tendenza ad assomigliare a un cantiere nel quale tutto è in costruzione e niente è mai davvero terminato».

Sensazione di perenne divenire che sembra il negativo della foto chiamata Unione Europea. Ma se i contorni di quest’istantanea sono sgranati in periferia, non altrettanto lo sono al centro: «Bruxelles è davvero europea e qui s’incontrano persone di tutte le nazionalità. Lavorare “per” o “con” le istituzioni è senz’altro un’opportunità, perché si parla di circa 50-60.000 posti di lavoro. Altri campi come la ristorazione, la moda o la cultura, offrono notevoli possibilità».

Nel foto-racconto di Francesco, la nostalgia non trova spazio, almeno non nel senso classico: «Un pizzico c’è sempre, però non è quella dell’emigrato del dopoguerra. Comunque, è chiaro che ci sono posti e persone che mi mancano. Inoltre c’è questo senso di non appartenenza: non sei belga ma, non vivendo l’isola ogni giorno, non sei del tutto sardo. Ci penso spesso, poi concludo che l’appartenenza non è solamente presenza fisica». Pur non facendo parte del suo lavoro, la Sardegna è ben radicata nella quotidianità delle relazioni: «I miei vicini di casa – dice Francesco – sono di Cagliari e hanno un negozio di alimenti sardi di fronte a casa. In città poi conosco molti conterranei. Spesso – sottolinea divertito – faccio il consulente per amici e colleghi che vogliono fare un viaggio nell’isola. La nostra è una terra con un potenziale enorme nel turismo, nella cultura e nell’agroalimentare. Certo sono necessari maggiori investimenti e scelte oculate diverse da quelle fatte ad esempio in campo industriale che hanno lasciato sovente disoccupazione e impianti fatiscenti con danni estetici e ambientali notevoli. Un’idea di sviluppo irrealizzabile che è fatta d’industria pesante, d’assistenzialismo e di posto fisso a vita, meglio se pubblico. Detto ciò, continuo a essere ottimista perché la Sardegna ha una grande coesione sociale e un serbatoio di talenti molto ampio. Ci sono centinaia d’iniziative d’eccellenza e c’è amore per la propria terra; insomma esistono tutte le condizioni per migliorare».

Con lo sguardo rivolto costantemente all’Europa: «Penso che viaggiare e apprendere le lingue con la pratica costante siano elementi fondamentali per la crescita personale, in particolare delle nuove generazioni. Muoversi per studio o per lavoro è molto più facile rispetto al passato. Quando stavo a Gorizia per tornare in aereo spendevo tra i 150 e i 300 euro attuali mentre oggi, con questa cifra, ci si viaggia in tre. Curiosità, intraprendenza, senso dell’iniziativa e voglia di cambiamento sono per me qualità irrinunciabili».

Giovanni Runchina

 

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