“Vota per me”: la fotografia si candida per far riflettere

La fotografia è sempre stato uno strumento basilare nelle campagne elettorali. Anche in tempi di social media nessun candidato rinuncia allo slogan ad effetto e al suo faccione sui manifesti murali o sui ‘santini’ che intasano le nostre cassette postali. Facce sorridenti, rassicuranti, magari ingentilite da una spruzzata di photoshop, facce improbabili o impresentabili. La stessa arma, la fotografia è lo strumento usato da Gianluca Vassallo nel suo progetto ‘Vota per me’, un progetto di guerrilla art che l’artista di San Teodoro, da sempre convinto e convincente sostenitore dell’arte come impegno sociale, aveva già messo in atto in occasione dell’alluvione di Olbia.

Stavolta nel corso di questa settimana si vedranno comparire, negli spazi deputati alla campagna elettorale, una serie di manifesti rappresentanti il volto e la storia di dieci migranti sui quali capeggia la scritta ‘vota per me’. Stanotte Cagliari, Olbia, Nuoro e Trieste sono già state simbolicamente “conquistate” da un’azione provocatoria che non sovrappone i manifesti a quelli dei candidati, legittimi fruitori di quegli spazi, ma li affianca per il tempo che sarà loro concesso di restare. Non un’azione di censura quindi, bensì un’azione che vuole stimolare la dialettica, visiva e verbale. Un gesto pacifico dal forte valore simbolico potenziato dalla forza di quei ritratti autoriali che sovrasta e ridicolizza la stanca banalità dei santini dei candidati ufficiali. Ancora una volta la fotografia correttamente declinata si propone come un potente strumento di riflessione su una campagna elettorale volgare e velenosa, pericolosamente giocata sull’amplificazione dell’odio e della rabbia sociale.

“Vota per me – scrive Gianluca Vassallo – è un progetto che, attraverso le facce e le storie dei migranti, cerca di riportare al centro del dibattito pubblico la verità delle vite, la dignità degli individui, il senso profondo della convivenza, con l’intenzione dichiarata di spostare l’asse dialettico verso la complessità dei fenomeni migratori, ovvero la sede culturale in cui il discorso politico dovrebbe svolgersi. Il progetto cerca questo risultato attraverso una pratica propria della politica, la propaganda elettorale, e lo fa per mezzo degli spazi per la pubblica affissione, disertati nella campagna elettorale in corso dai partiti di ogni orientamento, spazi che diventano, così, metafore. Metafora del lavoro di raccolta nei campi, del lavoro operaio, delle minuterie vendute agli angoli, dell’assistenza agli anziani, metafora della fame di futuro, della capacità di rinuncia per un fine più altro, metafora della memoria dell’oppressione individuale e collettiva, del desiderio di comunità, metafora, insomma, di tutti quei luoghi di produttività e di senso che l’Italia, mia e vostra, la stessa che urla alla crisi economica e morale, ha deciso di disertare e ai quali, i nuovi arrivati, hanno garantito continuità, spesso a condizioni salariali e umane che nessuno di noi accetterebbe per se stesso”.

A chi ha perso la memoria o non l’ha mai avuta Vassallo ricorda che siamo “un’Italia che non solo ha dimenticato la sua storia di migrazione, calpesta la costituzione, si nega la gioia della pluralità culturale ma che, assai più colpevolmente, pur schiacciando gli ultimi pretende anche di averne paura”. E tante buone fotografie (che saranno per sempre la nostra memoria perduta o dimenticata) restano per fortuna ancora vive per ricordarcelo, per far riflettere chi vuole e chi ha la capacità di farlo.

Enrico Pinna 

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