Una giunta per metà “indagata” e lo strano silenzio dell’opposizione

Il centrosinistra ha rischiato di spaccarsi sul “codice etico”, cioè sul sistema di regole per “filtrare” i candidati alle Primarie. Ora pare aver risolto il problema adottando quello scelto nel 2008 dal Partito democratico, probabilmente integrandolo con un riferimento alla legge anticorruzione. Che significa sostanzialmente eludere il problema posto dalle dimissioni del ministro Josefa Idem, costretta a dimettersi per una violazione (il mancato pagamento dell’Imu: poche centinaia di euro) che in base al codice etico del Pd le avrebbe consentito tranquillamente di candidarsi.

Per il centrosinistra il “codice etico” dovrebbe avere la funzione di marcare immediatamente la differenza col centrodestra di Silvio Berlusconi. Contrapponendo all’irrisione della giustizia, una pratica politica rigorosa e rispettosa della sensibilità dei cittadini, oltre che della magistratura. Ma è impossibile trovare una formula che, in modo automatico, determini una selezione adeguata, convincente, condivisa. Perché a volte non è necessario incorrere in un reato (come appunto dimostra il caso Idem) per trovarsi in una situazione di incompatibilità con un ruolo istituzionale. Infatti, alla fine, la risoluzione del problema viene sempre affidata al “senso di responsabilità” e alla “sensibilità” dei singoli candidati. Sarà così anche in Sardegna.

Dove, però, la funzione del codice etico come modo per marcare una differenza con centrodestra pare non essere avvertita, né condivisa. Appena se n’è parlato, il dibattito si è spostato dalla questione morale a una serie di casi individuali. Lo sanno anche le pietre che, al di là delle proclamazioni ufficiali, la questione del “codice etico” per le primarie sarde è in realtà il problema della possibilità per Renato Soru (e Gianfranco Ganau) di candidarsi.

Così, mentre il centrosinistra si divide sulla questione morale, il centrodestra può permettersi di ignorarla totalmente. D’altra parte non si capirebbe perché il governatore Ugo Cappellacci, sotto processo per bancarotta, dovrebbe farsi spontaneamente da parte nel momento in cui il suo leader di riferimento, l’uomo che l’ha insediato al governo della Sardegna, ha superato politicamente indenne una condanna per prostituzione minorile.

Il paradosso è che all’opinione pubblica la “questione morale” appare una “cosa di sinistra”, mentre il centrodestra ne è dispensato. Ne è dispensato anche per via delle timidezza delle opposizioni. Che qua in Sardegna pare abbiano accettato tranquillamente il fatto che quasi la metà della giunta regionale in carica sia sotto indagine (o sotto processo) per reati che vanno dalla bancarotta al peculato, dall‘usurpazione di cariche pubbliche alla truffa. Non una voce si è levata per segnalare questo scandalo.

Viene il sospetto di un legame tra questo silenzio pavido sulla giunta e il dibattito interno sulla questione morale: si tace sugli assessori indagati, per eludere il tema dei leader rinviati a giudizio. Perché si è incapaci di affrontare la questione in modo aperto e leale,  per esempio chiedendo a tutti gli aspiranti candidati di sottoporsi a pubblici incontri nei quali tutte le domande sono ammesse. Chi non lo fa, o lo fa e non sa rispondere in modo adeguato, viene escluso. Non dal codice etico, ma dal buon senso.

Non succede. La scelta è un silenzio che alimenta i veleni e i pettegolezzi, ricompatta le fazioni contrapposte che si accusano reciprocamente di malafede e di cieco servilismo. Ci si dimentica che quando verrà il momento della campagna elettorale nessuno farà sconti. E che candidati “terzi” potranno ricavare da questo atteggiamento molti buoni argomenti per dire che Pdl e “Pd meno elle” tutto sommato sono uguali. E’ la politica a dare all’antipolitica gli argomenti migliori.

G.M.B.

 

 

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