Reddito di cittadinanza nell’Isola, qualche luce e molte ombre: spendere non basta per crescere

Ora che le voci sul reddito di cittadinanza sono più confuse che mai, non abbiamo proprio modo di calcolare esattamente quanti dei soldi stanziati per questo sussidio andranno a residenti in Sardegna. La sola cosa che si può ipotizzare è che, se il costo totale della misura dovesse essere davvero di 9 miliardi, come recitano le ultime previsioni del governo, a Sardegna e Sicilia assieme potrebbero andare molto approssimativamente tra 1,5 e 2 miliardi. Il dato si ricava dal numero di famiglie che nelle due Isole vive sotto la soglia di povertà.

Ora, sono personalmente convinto che un sussidio così generoso sia una risposta politica alle diseguaglianze interne alla popolazione (credo che una parte della sinistra in passato avrebbe esultato – ma non da un balcone – per un risultato di questo tipo). Ma credo anche che questo regalo ai cittadini sia sostanzialmente insostenibile per le casse dello Stato nei prossimi anni. Al netto di questo grave problema (per cui sul tavolo non ci sono soluzioni adeguate), è probabile che questo maggiore reddito si tradurrà in maggiori consumi e che questo avrà, temporaneamente, un effetto benefico sull’economia della nostra isola. Ma per immaginare che tutto possa funzionare senza intoppi, occorrerebbero almeno due certezze. Primo, sarebbe necessario essere certi (davvero) che il reddito di cittadinanza non vada a chi nel frattempo lavora in nero. Ciò comporterebbe, oltre la gravissima ingiustizia sociale, che il lavoratore si troverebbe in tasca un reddito extra oltre quello che già percepisce illegalmente. Il fatto sarebbe grave sia in termini di mancati consumi (il reddito aggiuntivo ricevuto potrebbe essere risparmiato e non utilizzato), sia perché incentiverebbe accordi collusivi tra datore di lavoro e lavoratore assunto irregolarmente.

Il secondo elemento di cui occorrerebbe essere sicuri è che davvero la riforma dei centri per l’impiego dia ottimi risultati. È un’ipotesi assai remota in Sardegna. Se davvero i centri per l’impiego fossero stati l’ostacolo tra domanda e offerta di lavoro negli anni precedenti, allora staremmo dicendo che i folli tassi di disoccupazione giovanile registrati nell’Isola non sono dovuti alla mancanza di lavoro, ma al fatto che i giovani non sanno come trovarlo.

Solo alcune delle politiche annunciate dal governo potrebbero effettivamente creare un miglioramento strutturale (quindi permanente) dell’economia dell’Isola.

La prima di queste è una annunciata, ma non meglio definita, spesa per investimenti. Ora, pronunciare l’espressione spesa per investimenti non è sufficiente per generare crescita futura. Infatti, al netto di alcuni effetti di breve termine, il vero rendimento di queste spese si realizza solo dopo la conclusione dell’investimento. Si tratta, quindi, di un effetto di medio-lungo periodo, per il quale talvolta occorre aspettare decenni. A questo bisogna aggiungere che prima di parlare di effetti di lungo periodo degli investimenti, occorrerebbe essere certi che gli investimenti vengano davvero portati a termine. Si pensi che di tutte le opere incompiute presenti in Italia (dati del 2017), il 13 percento sono in Sardegna.

La seconda misura che potrebbe stimolare la crescita è la annunciata riduzione della pressione fiscale su piccole imprese, professionisti e artigiani. Questo, in effetti potrebbe essere un intervento positivo per l’economia isolana, anche se probabilmente sarà più efficace in altre regioni del Sud in cui, per esempio, il numero di titolari di partite IVA in rapporto agli occupati è più alto del nostro.

Insomma, al netto di queste legittime intenzioni, alle misure orientate alla crescita viene riservato uno spazio residuale e probabilmente non sufficiente per dare all’economia dell’Isola la spinta di cui ha bisogno. Su questa esigenza pesano, tra gli altri, due dati: il primo è quello delle esportazioni. Nel primo semestre del 2018 la Sardegna è stata una delle quattro regioni in cui le esportazioni hanno registrato un calo rispetto all’anno precedente. Il secondo è quello della disoccupazione giovanile che, nonostante una lieve diminuzione nel 2017, è ancora di molto superiore rispetto alla già alta media nazionale.

Di questi temi si dovrà occupare il vincitore delle prossime elezioni regionali. E le misure per generare crescita dovranno essere pensate da subito, prima che eventuali incertezze a livello nazionale e internazionale possano pesare ulteriormente sulla già fragile economia dell’isola.

Carlo Valdes

Economista

 

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