Primarie del Pd sardo. Il nuovo segretario ha i numeri per rinnovare il partito

Il risultato della partecipazione alle Primarie del Pd è stato al di là delle aspettative più ottimistiche dei vertici: quasi due milioni di persone. Rispetto alle primarie del 2013, sono rimasti a casa tra i 700mila e gli 800mila elettori, ma se si considera che fino alla vigilia si ragionava attorno a un milione di elettori, si comprende la soddisfazione di Matteo Renzi.

In Sardegna la partecipazione pare essere analoga. Mancano i dati definitivi, ma se il numero di quanti si sono presentati alle urne del Pd sarà attorno ai 40mila, avrà votato un numero di persone pari ai due terzi di quanti l’avevano fatto alle primarie regionali del 2013. Un dato proporzionalmente simile a quello nazionale. E, infatti, anche nell’Isola superiore alle previsioni più ottimistiche. Si riteneva infatti che sarebbe stato un risultato dignitoso (l’equivalente del milione di elettori di cui si parlava a Roma alla vigilia) se il numero finale si fosse attestato al di sopra dei trentamila elettori.

In attesa dei dati definitivi si possono già fare alcune considerazioni. La prima è che il Partito democratico, nonostante le scissioni e le polemiche, continua a essere il partito di riferimento di una parte così rilevante della cittadinanza da non poter essere incasellata nelle correnti. Esiste quindi ancora fiducia nel progetto, che d’altra parte non ha alternative visibili. La scissione del Mdp di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema ha pesato, specie nelle “regioni rosse”, ma non in misura tale da mettere in discussione la leadership renziana. Al contrario, alcuni esponenti che prima del voto erano dati come “in uscita” verso il “Movimento democratico e progressista” hanno chiarito che resteranno nel Partito democratico.

Del dato sardo colpisce – nel confronto con le precedenti primarie – la misura del successo di Matteo Renzi. Si parla di un 70 per cento, dato in linea con quello nazionale, mentre nel 2013 la Sardegna era stato la regione (col 56,5 per cento a fronte di un dato nazionale del 67,8 per cento) che a Renzi aveva dato il consenso più basso. Un risultato che può essere facilmente spiegato col passaggio a Renzi dei leader delle componenti che quattro anni fa avevano sostenuto Bersani.

Un altro dato rilevante, quanto al peso delle correnti nel futuro del Pd sardo, lo si ricava dall’analisi del risultato del vincitore. Giuseppe Luigi Cucca è stato sostenuto da due liste, una “sua”, composta da renziani e da ex Ds, l’altra da esponenti della componente popolare riformista che fa capo all’ex sottosegretario Paolo Fadda e all’attuale presidente della Fondazione del Banco di Sardegna, Antonello Cabras. La presenza di due liste a sostegno di un candidato è stata ottenuta attraverso una deroga e aveva lo scopo sostanziale di misurare la forza delle due componenti.

C’era una certa preoccupazione tra i renziani sardi in relazione alla possibilità che la lista di Cabras e Fadda ottenesse la maggioranza dei membri all’interno dell’assemblea regionale e che, alla fine, Cucca si trovasse nella situazione paradossale di essere un segretario di minoranza, o comunque costretto a guidare il partito sotto la “tutela” della componente popolare e riformista. Come riferisce Alessandra Carta, il timore si è rivelato infondato: la componente di Cucca dovrebbe avere tra i 66 e i 68 rappresentanti, mentre i popolari-riformisti tra i 44 e i 60. Inoltre Francesco Sanna, sostenuto da soriani e altri ex ds, pur sconfitto (come era previsto) ha ottenuto un buon risultato e la componente che fa capo a lui avrà una presenza importante nell’assemblea regionale.

Nella sua prima dichiarazione, il neosegretario sardo ha parlato di un “nuovo corso” e di “unità del partito”. Si tratterà di vedere fino a che misura i due concetti potranno stare assieme. Di certo quella sarda è stata una campagna elettorale molto pacata, dai toni bassi, senza asprezze tra i candidati. Non sono emerse sostanziali differenze programmatiche. Addirittura, nel faccia a faccia che si è tenuto da noi, Cucca ha detto esplicitamente di non vederne. E’ quindi possibile che in questo percorso di rinnovamento i due competitor, che hanno una storia politica molto simile (entrambi ex democristiani ed ex popolari) trovino il modo di collaborare e di rompere lo schema correntizio che ha ingabbiato i democratici sardi.

D’altra parte, e questo vale anche in campo nazionale, la buona partecipazione al voto, la conferma delle primarie come strumento di democrazia, chiamano i vertici del Pd a una prova d’appello che potrebbe essere l’ultima. Una parte del popolo democratico si è già allontanata, la situazione economica del Paese è fragile, quella europea quanto mai incerta. Il Pd ha la necessità di spalancare le sue porte, di diventare un partito effettivamente inclusivo. Una operazione impossibile in assenza di un rinnovamento profondo.

G.M.B.

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