Per riuscire a salvare la Sardegna è indispensabile una nuova classe dirigente

Troppi segnali qui in Sardegna inducono a ritenere che la società politica, in indifferenza di schieramento, stia attraversando un periodo assai grigio, quasi di obnubilazione, cioè di offuscamento, di confusione e, per certi versi, anche di inefficacia. Dimostrandosi incapace, non solo di realizzare le azioni necessarie per superare gli ostacoli e le pesanti difficoltà del presente, ma soprattutto di saper tracciare ed indicare il percorso per superare la pesante crisi ed avviarsi verso la ripresa socio-economica.

Si è infatti in molti a ritenere che il primo, vero problema dell’Isola risieda nella sua classe dirigente politica. Sempre meno attrezzata, preparata e dotata di coraggio. Più disposta alla disputa che al confronto, più impegnata a favorire i propri clientes che a ridare nuova vitalità e diffusi equilibri alla crescita socio-economica.

C’è peraltro una situazione assai confusa per chi intenda analizzare e comprendere la “natura” (cioè la composizione, le attitudini e le capacità) dell’attuale società politica isolana. Non può essere un compito semplice, giacché si è di fronte ad un’iper-frammentazione con conseguente micronizzazione degli schieramenti e, soprattutto, ad una scarsità di idee, di proposte, di proponimenti. Ed anche di posizionamenti, giacché c’è un continuo scambio di ruolo, a sinistra come a destra, fra progressisti e conservatori. Non è facile quindi capire quale “idea di Sardegna” la politica intenda proporre, quale sia la strada da imboccare, se andare al seguito del nuovo d’Europa o ritornare al mito aurorale di Esperia. Se, ad esempio, perseguire l’idea dei cento laghi (Angelo Omodeo) o, al contrario, quella del niente più laghi (gli ambientalisti). Anche perché, nell’agenda di governo, non pare contemplata la necessità di una scelta, limitandosi ad andare a rimorchio delle pretese avanzate dalle tante consorterie e dai tanti campanili in cui si è micronizzata la realtà sociale dell’Isola.

Per dirla ancor più chiaramente, non pare di poter dire, sulla base degli atti di governo dell’Isola di questi ultimi trent’anni – svoltisi nell’alternanza fra centro-destra e centro-sinistra – che si sia elaborato e proposto un progetto purchessia indirizzato a risollevare la comunità isolana dalla sua depressione. O ad operare una scelta purchessia tra l’energia rinnovabile o quella petrolifera. Tanto che i diversi schieramenti, pur opposti come segno politico, sono stati del tutto simili, limitandosi alla gestione del solo contingente. Ed è poi questa, l’obnubilazione generale, a cui si è fatto inizialmente cenno.

C’è poi, ed è il vulnus più grave, il problema delle leadership. Anche perché da noi si va sempre più affermando il partito-persona. O, meglio, uno schieramento “ad personam”. Sulla scia del berlusconismo del 1994 è seguito infatti, non solo il grillismo di questi ultimi anni, ma una serie continua di scomposizione dei partiti “classici”, motivata da scelte e da convenienze personali, più che da concrete motivazioni ideali. Viene così difficile, se non proprio impossibile, cogliere le differenze esistenti, fra chi si rifà a questo od a quel gruppo del frazionismo nazionale o scompone la propria ambizione regionalista in sovranismo, autonomismo, federalismo, ecc., in modo da autonominarsi così leader regionale di gruppuscoli formato bonsai.

Si sono così sovvertiti quelli che erano i percorsi di formazione della leadership nelle comunità politiche democratiche, con il risultato di avere, come taluno sostiene, dei leader di se stessi.

Non diversamente da quel che si può già intravvedere nelle auto-candidature a “governatore” per le prossime consultazioni elettorali: dove l’iper-attivismo di diversi neo-aspiranti, soprattutto attraverso l’iper-utilizzo dei “social networking” (dei blog, dei facebook, dei twitter, ecc.), fa intravvedere come l’individualismo ambizioso (spesso d’origine extra politica) sia divenuto l’antidoto – o il sostituto – al decaduto partitismo. Che sia un fatto positivo lascia più d’un dubbio, in quanto appare certamente il segnale confermativo di quella che taluno ha definito “l’asfissia della politica”. Va ricordato, in proposito, che nell’ultima tornata elettorale (quella del 2014) i candidati alla presidenza erano già parecchi, molto oltre le dita d’una mano, e le liste che li appoggiavano quasi venticinque. E per la prossima, pare proprio che si stia per conquistare un nuovo record.

D’altra parte, analizzando le consultazioni elettorali regionali dell’ultimo quarto di secolo si può facilmente verificare come le elezioni siano state regolarmente perse da chi era al governo della Regione (cioè, per dirla più efficacemente, si intende sostenere che siano stati, ad esempio, più Soru e Cappellacci a perderle nel 2007 e nel 2014, che i meriti dei loro competitors a vincerle). A conferma, cioè, dell’incapacità della società politica nel suo complesso a saper ben operare per il governo dell’Isola, per via di quella mancanza di proprie idee e di valide capacità nell’immaginare e nel proporre il risveglio dell’Isola.

Preoccupa ancor più il fatto che la politica non sia più in grado d’essere il tessuto connettivo della società sarda, come lo fu al tempo dei grandi partiti di massa (dalla DC al PCI). L’idea attuale dei partiti “liquidi”, o dei movimenti facsimile dei rassemblement francesi, con le sezioni trasformate in circoli, ed i comizi in social media, pare abbiano inferto un colpo di grazia alle modalità di reclutamento e di formazione di una valida e preparata classe dirigente. Che si è man mano chiusa in se stessa, di fatto autoreferenziata, con il conseguente emergere delle sue seconde e terze linee. Per questo appare pertinente quella definizione di homineddus o di mes’hominis utilizzata per i componenti delle attuali élite politiche (il Manzoni li avrebbe chiamati “omuncoli”).

Pare del tutto fallito, dopo lo choc di Tangentopoli, il passaggio dai tradizionali partiti di massa – organismi dotati di strutture articolate, capaci di aggregare larghe fasce di società civile – agli attuali partiti “leggeri”. Questi ultimi mantengono infatti alcune delle funzioni tradizionali, ma sono esposti a pericolose permeabilità nei confronti delle richieste e delle pretese provenienti dall’esterno. Hanno infatti perduto, per mutuare un concetto di Galli della Loggia, la loro identità.

Ora, per avviare una nuova Rinascita per l’Isola (vi è il dubbio che sia il terzo o il quarto tentativo), da molti auspicata e richiesta, occorre partire proprio dall’individuazione di una nuova classe dirigente per la politica sarda, preparata e dotata delle giuste sensibilità sociali. Non basterebbe infatti il richiamo all’articolo 18 del nostro Statuto ed alle grida contro uno Stato inadempiente.

Selezionare delle capaci élite non può essere comunque facile all’interno di una società politica regionale così miniaturizzata. Bisognerebbe ampliare la ricerca attraverso l’individuazione di luoghi idonei ove poter svolgere delle attività di ricerca e di formulazione di “policy” su temi politici, economici e sociali. Un tempo era questa la funzione del Centro regionale di programmazione (voluto da quella great generation della “prima” Rinascita), poi via via annacquata e dissolta da imprevidenze, disattenzioni e contrasti. Si trattava di un qualcosa di simile ai think tank dei paesi anglosassoni, dove ricercatori ed esperti elaborano e predispongono idee e progetti per l’agire politico. Ritrovarne la funzione, anche attraverso delle nuove e differenti formule, avrebbe sicuramente il risultato di consentire l’individuazione di luoghi ove poter formare e selezionare dei potenziali membri di una nuova ‘classe dirigente’, in grado di accoppiare alla competenza tecnico-specialistica anche una visione più ampia di carattere sociale, politico e culturale.

Non è altro che un’idea anche abbastanza fragile, ma può dare lo spunto per una riflessione più ampia, meglio articolata e, di certo, più efficace. Ma occorre partire dall’assunto che con “questa” classe dirigente, così povera di idee e di autorevolezza, per l’Isola questo lungo e sofferto jerru non avrà mai fine.

Paolo Fadda

(Economista e saggista, già dirigente del Banco di Sardegna)

 

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