Perché gli elettori sardi avrebbero dovuto votare Pd? Una domanda retorica visto il pessimo risultato conseguito in Sardegna nelle recenti elezioni politiche.
Ma potrebbe essere interessante, al di là delle dotte interpretazioni emerse durante la riunione della Direzione regionale, prendere in esame alcune, poche, questioni concrete. Quale è il Progetto, l’idea di Sardegna, che il Pd ha sottoposto all’attenzione degli elettori? Per quanti sforzi uno faccia è difficile intravedere una qualche traccia di un Progetto nella proposta politica del Pd sardo.
Sino a qualche anno fa un’idea precisa di Sardegna c’era, poteva non essere condivisa, ma era nitida, facilmente identificabile. Quel Progetto era la piattaforma programmatica che aveva animato l’azione della Giunta regionale di sinistra. Un Progetto che tentava di coniugare un’idea nuova e moderna di identità con un penetrante processo di modernizzazione. Un’identità incentrata sulla salvaguardia e la valorizzazione dei nostri beni identitari: il paesaggio, l’ambiente, la storia, la cultura e la lingua sarda. Un processo di modernizzazione basato sull’innovazione, la ricerca, la scuola, l’università, le nuove tecnologie dell’era digitale.
Quel Progetto è stato volutamente lasciato cadere. I sardi nel 2009 non bocciarono quell’idea di Sardegna, ma le modalità attraverso cui quel Progetto era stato perseguito. Oggi si sente dire: i grillini ci hanno scippato il tema dell’informatizzazione, dell’innovazione tecnologica.
Che memoria corta. Negli anni che vanno dal 2004 al 2008 la Sardegna era diventata un punto di riferimento per tutte le regioni italiane, un vero e proprio caso di scuola, oggetto di attenzione a livello europeo. La Sardegna si avviava a diventare la prima regione italiana “ all digital” interamente digitalizzata: la copertura della banda larga aveva raggiunto oltre il 70% dei comuni e quasi il 90% della popolazione dell’isola. In pochi anni era stato centrato l’obbiettivo di abbattere la condizione di “digital divide”, di esclusione digitale. Il sistema informativo di base dell’Amministrazione regionale (SIBAR), realizzato per assicurare l’ammodernamento tecnologico, funzionale e amministrativo della Regione – attraverso il protocollo informatico, la firma digitale, la gestione documentale in forma elettronica, il sistema contabile integrato, la gestione delle risorse umane, la gestione dei procedimenti amministrativi – era considerato uno dei progetti più innovativi in assoluto. Il caso Sardegna aveva attirato persino l’attenzione del New York Times che nell’aprile 2008 pubblicò, a firma di Philip Willan, un’intervista all’assessore alle riforme dal titolo: “Sardinia choose open-source software.
” Quell’esperienza che vedeva coinvolto in prima persona un assessore del Pd fu fatta colpevolmente e volutamente lasciata cadere. La verità è che l’unico elemento di coesione all’interno del Pd sardo, in tutti questi anni, è stato il tentativo di nascondere, occultare, sminuire, denigrare, l’esperienza del governo regionale presieduto da Renato Soru. Di emarginare e rendere invisibili i protagonisti di quella stagione di riforme. Esattamente lo stesso obiettivo perseguito dalla giunta regionale di destra presieduta da Ugo Cappellacci.
Massimo Dadea