La Rosa Bianca è ancora la nostra storia

Questo è un “Pronto intervento” speciale. A 70 anni esatti (il processo si svolse il 22 febbraio del 1943) dalla condanna a morte di Sophie Scholl e dei ragazzi della ‘Rosa Bianca’, un testimone diretto di quell’atroce fase della storia del Novecento ricorda quei giorni. Il testimone, e autore di questo articolo, è Vittore Bocchetta, classe 1918, scrittore, artista e partigiano.

 Abbiamo avuto modo di conoscerlo lo scorso anno quando è venuto a Cagliari per la presentazione del libro che Carlo Dore (“Vittore Bocchetta, un sardo nei lager nazisti”) ha scritto su di lui. Vittore è diventato socio onorario dell’Associazione Asibiri – per l’ecologia dell’informazione. Ha incontrato nella nostra sede Paola Soriga, che poche settimane prima aveva pubblicato per Einaudi il suo “Dove finisce Roma”.

Fu l’incontro tra due giovani, nonostate gli oltre sessant’anni di differenza. Vittore, con la sua lucidità e la sua passione, ci fece ‘sentire’ che davvero la difesa della democrazia e dei suoi valori non ha mai fine. Che bisogna stare sempre allerta, vigili, pronti, rendendo ‘operante’ la memoria del passato.

Ecco, questo articolo non è solo un breve saggio storico ma è anche un modello di “memoria operante”. Perciò scomoda.

 

La Rosa Bianca (in lingua tedesca: Die Weiße Rose) è stato un gruppo di studenti cristiani che si opposero in modo nonviolento al regime della Germania nazista. La Rosa Bianca fu attiva dal giugno 1942 al febbraio 1943, quando i principali

componenti del gruppo vennero arrestati, processati e condannati a morte mediante decapitazione.

La sentenza del Volksgerichtshof (Tribunale del Popolo) emessa il 22 febbraio 1943 a Monaco di Baviera: “Gli accusati hanno, in tempo di guerra e per mezzo di volantini, incitato al sabotaggio dello sforzo bellico e degli armamenti, e al rovesciamento dello stile di vita nazionalsocialista del nostro popolo, hanno propagandato idee disfattiste e hanno diffamato il Führer in modo assai volgare, prestando così aiuto al nemico del Reich e indebolendo la sicurezza armata della nazione. Per questi motivi essi devono essere puniti con la morte”.

Vittore Bocchetta

Sono passati più di 70 anni dalla morte di quei ragazzi. Un misfatto che come emblema ed esempio non si può dimenticare
Siamo allʼinizio del 1943: i cittadini della Germania cominciano ad avere il presentimento di una inevitabile sconfitta. Il grandioso sogno della conquista mondiale si va oscurando e chi conserva un minimo senso di realtà ed un lembo di coscienza cristiana non può sottrarsi allʼesigenza inconscia della confessione. In linea con il suo orgoglio nazionale, il cittadino tedesco che non può evitare di pensare comincia a percepire la banalità di quellʼimmane spettacolo di desolazione e di morte. Non c’è uomo che riesca a mantenere sempre e comunque il suo spazio nel gregge e non c’è individuo che possa sottrarsi alla propria coscienza del male.

Per i tedeschi la sconfitta della prima guerra è stata dura, ma, come si sa, il loro orgoglio non riuscì a superare il loro insopprimibile complesso di inferiorità e … venne lui, Hitler!

Venne negli anni ’30 e venne sulle orme di Mussolini.

Se Mussolini ce l’ha fa con gli italiani, come vuoi che non ce la faccia il nostro Führer  con il suo popolo così giusto, così ubbidiente e così capace?

Lʼoppressore, in generale, non deve temere tanto la forza dellʼoppositore quanto il pensiero dellʼuomo civile, quel pensiero inconscio, occulto ed irresistibile che fa della disobbedienza lʼarma naturale ed inarrestabile della sopravvivenza.
Chi non ha più nulla da perdere mette in gioco tutto. Questo vale anche per i tedeschi.

In Italia avevamo già vissuto la nostra Rosa Bianca. Avevamo già instaurato, dal 1925, il nostro tribunale speciale, avevamo già eliminati Giacomo Matteotti e Piero Gobetti, avevamo già ripudiato Cesare Beccaria con la restaurazione della pena di morte e avevamo legittimato, con l’OVRA, la delazione anonima. Ma lo avevamo fatto senza clamore, i nostri migliori uomini sparivano, semplicemente sparivano.

Quel processo eclatante del Terzo Reich contro quei giovani intellettuali, fu il  grande errore. La spettacolarità aberrante non solo non sortì lʼeffetto mirato dal terrore del potere, ma ottenne un risultato del tutto opposto: “… indebolendo la sicurezza armata della nazione,” questo stesso inciso rivela il punto debole: la sua stessa “sicurezza”.

Allʼesecuzione atroce di quei ragazzi seguì in Germania un profondo generale silenzio, silenzio che, più che il tuono dei cannoni e il terrore dei bombardamenti, denunciava il fulcro debole del potere assoluto. A un popolo costretto a tacere non resta che sussurrare e la gente che sussurra auspica sempre e solo una fine qualunque essa sia. Così fu, sia per i ragazzi della Rosa Bianca e sia per noi.

I fratelli Scholl non avevano potuto evitare di vedere noi, i condannati politici, sfilare sulle loro  strade, accanto ai fratelli ebrei, con le nostre membra ischeletrite, coperti di piaghe e vestiti di luridi “pigiama” zebrati. Sophie Scholl e i suoi fratelli toccarono in silenzio le nostre piaghe, colsero la nostra intesa e piansero. Altri si unirono a loro in quel silenzio e cessarono di parlare e si inginocchiarono insieme.

Io non mi considero ancora fuori da quella storia e, anche se sono vecchio e lontano da quellʼevento, non posso  dimenticare quei ragazzi, quelle preghiere e tutto quel sangue. Ma oggi, oggi ancora, mi domando se quel sacrificio abbia avuto lʼeffetto che avevamo così tanto agognato. Siamo veramente riusciti ad essere cittadini liberi in un mondo libero e senza confini? Eʼ ogni persona che nasce e che muore uguale ad ogni altra persona che nasce e che muore?

Vittore Bocchetta

 

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