In Sardegna non c’è la mafia… perché non ce n’è alcun bisogno

Sbaglia chi ritiene che l’ultimo atto della giunta Cappellacci – la finta approvazione del “nuovo” Piano paesaggistico – sia solo una buffonata propagandistica a uso e consumo degli allocchi. Cappellacci è stato infatti un pessimo presidente della Regione, ma è un ottimo uomo di marketing. Se l’ha fatto, vuol dire che ritiene di poterne trarre giovamento. E sa di poter contare, da qui alla chiusura delle urne, su un sistema dell’informazione disposto ad assecondare la sua mossa. Cioè a occultare uno di quelli che nelle scuole di giornalismo si chiamano “elementi costitutivi della notizia”.

Si tratta di quei fatti senza i quali la notizia sarebbe un’altra. Per esempio scrivere che un muratore è “volato” da un’impalcatura senza precisare che pochi secondi dopo ha toccato il suolo ed è morto.

Dal punto di vista tecnico, l’approvazione del “nuovo” Ppr in assenza della Valutazione d’impatto ambientale equivale alla dichiarazione di annessione della Corsica. Lo diciamo con prudenza, perché non vorremmo dare un suggerimento (la giunta regionale è ancora nel pieno dei suoi poteri), ma a questo punto una delibera sull’istituzione dello Stato insulare del Tirreno dovrebbe essere possibile. Si tratterebbe semplicemente di inserire l’inciso: “Nelle more del parere della Francia”.

Ma c’è poco da ridere. Domenica si vota e Ugo Cappellacci continua a sperare in una vittoria. Non solo per i pasticci dell’opposizione, per le sue divisioni, per una legge elettorale demenziale. Questi elementi certamente aiutano, ma non sarebbero sufficienti se a essi non si fosse sommata la capacità del presidente della giunta di utilizzare i soldi pubblici per crearsi un apparato di consenso, sia attraverso nomine cllientelari, sia attraverso il sistematico foraggiamento degli organi d’informazione “amici”.

Cappellacci ha utilizzato i soldi pubblici per fare propaganda contro il Piano paesaggistico in vigore, con una finta pubblicità istituzionale che ha pubblicato a pagamento sulle pagine de l’Unione sarda e de la Nuova Sardegna. Ne ha distribuiti a Mediaset per realizzare fiction “promozionali” che non sono state viste nemmeno da tutti gli attori protagonisti. Ne ha usati altri per realizzare un opuscolo che non è andato in distribizione solo perché una volta tanto il garante è intervenuto per tempo. Altri ancora per prendere in affitto immobili invenduti dell’editore de l’Unione sarda. Tutto vicende (l’elenco è molto più lungo) che, in assoluta solitudine, Sardinia Post ha puntualmente documentato in quest’ultimo anno e mezzo senza ricevere nemmeno una smentita.

Alcuni suoi assessori non sono stati da meno. Come quello al Turismo, Crisponi, che ha speso 48mila euro dei nostri soldi per acquistare cinque capre di ferro battuto realizzate da un suo compaesano titolare di una fabbrica di infissi in alluminio. Altra vicenda scandalosa totalmente ignorata dagli altri organi d’informazione isolani, e mai smentita.

Da tempo circola una battuta mortificante per noi tutti: “In Sardegna non c’è la mafia… perché non ce n’è alcun bisogno”. Qualche anno fa, ai tempi dell’indagine su Tangentopoli, la procura milanese definì una situazione molto simile “corruzione ambientale”. La Sardegna è governata da un grumo di interessi politico-affaristici, spesso cementati da legami massonici, che ha realizzato una sorta di governo parallelo che dispensa favori, dà posti di lavoro, appalti, elemosine, agli amici degli amici e ai loro clientes. Con tariffe commisurate alle aspettative e al reddito.

Un sistema che ha consolidato nel senso comune l’idea che per ottenere qualcosa sia necessario avere un amico da qualche parte. Col risultato che i giovani migliori fuggono via per non tornare mai più. Col risultato che il merito è guardato con sospetto e l’intelligenza con fastidio.

In questo piccolo mondo può succedere che, nell’ultimo giorno di campagna elettorale, lo stesso governo regionale diventi un comitato elettorale disposto a stravolgere le regole amministrative per un titolo su un giornale. Ma se accade è perché ci sono i giornali e televisioni che quel titolo lo fanno.

 

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