Il processo Lombardo/Muroni e il silenzio dei media

Giovedì 13 maggio Sardinia Post ha dato una notizia di rilevanza pubblica che nessun altro organo di informazione ha pubblicato. Ma non era uno scoop. La notizia era a disposizione di tutti. Per raccoglierla era sufficiente inviare un giornalista al palazzo di giustizia di Cagliari. La notizia era quella dell’interrogatorio come testimone di Ugo Calledda, commissario del Nucleo investigativo del Corpo forestale, nel processo all’attuale direttore de l’Unione sarda, Antony Muroni, e del suo predecessore, Paolo Figus, per diffamazione nei confronti dell’ex presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo. Muroni figura tra gli imputati in qualità di autore dell’articolo. All’epoca in cui esso fu pubblicato (aprile 2011), infatti, non era ancora direttore.

Chi vuole conoscere i dettagli, può andare a leggere l’articolo pubblicato da noi. Qua vogliamo spiegare perché la notizia era – ed è – di indubbia rilevanza pubblica. Lo facciamo con un esempio, trasferendola in campo nazionale. E’ come se, accusato di diffamazione dall’ex presidente della Camera, il direttore di Repubblica affermasse  che  era stato un importante dirigente della polizia di Stato a rivelargli l’esistenza di un’indagine penale sul conto del medesimo presidente. Ma, poi, interrogato in aula, il dirigente della Polizia dicesse: “Io non gli ho mai detto niente di tutto ciò”. Clamoroso. Tutti i media italiani ne parlerebbero. Compreso quello direttamente interessato.

Qua, invece, niente. Abbiamo cercato un po’ ovunque, ma non abbiamo trovato traccia della notizia da nessuna parte (se qualcosa ci è sfuggito, fatecelo sapere). Però, grazie alle segnalazioni di alcuni lettori, abbiamo trovato dei post che la trattano, o vi alludono, nella pagina Facebook del direttore de l’Unione sarda.

Pubblichiamo il testo del più lungo e più esplicito di questi post. “Da una parte ci sono io. E dall’altra, a turno, accanto a Flavio Carboni, a Luca Silvestrone, a Denis Verdini, a molti uomini d’affari che mi hanno querelato e sono stati sconfitti in tribunale, a molti esponenti politici di centro, di destra e di sinistra che mi odiano, c’è stata anche una piccola rappresentanza di sedicenti giornalisti. Osservateli, leggeteli e ascoltateli: sono disposti a schierarsi dalla parte di ogni lestofante pur di andare contro di me e contro L’Unione Sarda, arrivando persino a paragonarmi (pur incensurato) a un mio predecessore condannato per reati comuni. Piccole e grandi miserie, che fanno parte del gioco. Alcuni vogliono condizionarmi, altri annientarmi, altri ancora vendicarsi. Ma il messaggio vi giunga forte e chiaro: finché sarò qua non ci sarà niente che potrà condizionarmi o farmi arretrare di un millimetro da quel che ho sempre fatto. La fiducia e l’affetto di molti lettori, la vicinanza della mia famiglia e della mia azienda, l’unanime sostegno della mia redazione sono persino più di quanto io meriti. Non li tradirò mai. Non mi spavento e non vi temo. Buona giornata a tutti”.

Antony Muroni, dunque, accusa una serie di innominati esponenti politici e alcuni “sedicenti giornalisti” di tentare di intimidirlo. E lo fa con riferimento alla notizia che nessuno, a parte noi, ha dato. Siccome (come chiunque può constatare) noi abbiamo semplicemente riportato una asettica cronaca dell’udienza, deve esserci stato qualche altro giornalista o qualche altro politico (il post non chiarisce a quale categoria appartenga l’autore dell’accostamento) che ha associato la figura di Muroni a quella del suo pluricondannato predecessore Antonangelo Liori. Un attacco infamante e ingiusto. Da Antony Muroni, dalla sua linea editoriale, ci dividono molte cose. Ma questo non ci impedisce di esprimergli la nostra piena solidarietà: certi toni esasperati non devono essere mai utilizzati nel dibattito pubblico. Sono gravi quanto l’allusione calunniosa, il sottinteso infamante e tutto ciò che inquina il confronto sul merito delle cose.

Ma il post suscita una domanda: perché non ha pubblicato la notizia, e le considerazioni a sua difesa, direttamente sul quotidiano che dirige? Per l’Unione sarda, tra l’altro, c’era una ragione in più: il dovere di informare i propri lettori, i primi fruitori dell’articolo al centro del processo. Muroni, invece, ha ritenuto di doversi rivolgere solo agli amici della sua pagina Facebook. Amici che, per quanto numerosi, di certo non coincidono con i lettori de l’Unione sarda. I quali, probabilmente, non si sarebbero accontentati dell’appassionata autodifesa. Avrebbero preteso di conoscere, in modo circostanziato, le vicende di questo processo. L’essere usciti indenni da una pluralità di querele, non accorda una esimente perpetua. Almeno fosse. Ci si deve difendere volta per volta. E nemmeno il fatto di avere “molti nemici” è, per i giornalisti, una esimente. E’ una condizione naturale. Insomma, sono argomenti suggestivi che, però, lasciano aperti tutti i problemi e anzi, rischiano di dare l’impressione che si voglia alzare il tono per non rispondere e spiegare.

Ma c’è un altro aspetto che rende ancora più inopportuno il silenzio dei media isolani. Questa notizia, infatti, ha un interesse speciale per i giornalisti perché coinvolge uno dei loro principali “ferri del mestiere”: il rapporto con le fonti. Stando a quanto emerge dagli atti del processo, nell’udienza del 4 marzo scorso, quando gli fu chiesto da chi avesse appreso dell’inchiesta sulla Lombardo, Muroni rispose facendo il nome del commissario Ugo Calledda. Mettiamo ora da parte il fatto che giovedì l’ufficiale abbia negato. Questo contrasto sarà risolto dai magistrati. Il punto – interessante e delicato – è che i giornalisti hanno l’obbligo deontologico di salvaguardare la riservatezza delle fonti. E’ un principio vitale per il nostro lavoro. Per difenderlo molti di noi (in Sardegna il compianto Gianni Massa, scomparso qualche settimana fa) hanno anche affrontato il carcere.

Nessuno pretende l’estremo sacrificio. Il codice di procedura penale ci consente di resistere, almeno nella prima fase. Possiamo infatti opporre il segreto professionale ed è il pubblico ministero a doverci dire che quella notizia è “essenziale per acquisire la prova del reato”. E lo deve ben argomentare. E’ accaduto che la richiesta del Pm di obbligare il giornalista a rivelare la fonte sia stata respinta dai giudici. Ma questo vale quando siamo testimoni. In questo processo Muroni è imputato. Una posizione che dà il diritto di tacere. Indimenticabile la battuta di Mariano Delogu, grande penalista ed ex sindaco di Cagliari, al processo della cosiddetta “Superanonima sequestri”: “L’imputato può dire tutte le balle che vuole”. Era in atto la polemica sulle legislazione premiale per i pentiti.

Un confronto aperto e chiaro è davvero necessario. Perché questa vicenda pone un quesito di valore generale: il fatto di aver assunto il ruolo di imputato in un processo, libera automaticamente il giornalista dal dovere di mantenere segrete le sue fonti fiduciarie? Ecco, il caso del direttore de l’Unione Sarda offre l’occasione per dare una risposta definitiva alla domanda. A garanzia dei giornalisti e, soprattutto, delle fonti e dei lettori.

G.M.B.

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