Il Pd sardo al bivio: un ‘aggiustamento’ o una fase costituente?

Per il Partito democratico sardo sono giorni molto difficili. Si avverte l’ombra di quella specie di ‘maledizione’ che periodicamente porta le forze progressiste italiane a farsi male da sè.In questo caso annullando con poche ma efficaci scelte autolesionistiche il clima di simpatia che si era creato attorno al Pd nell’Isola e nel Paese per via delle primarie. Il cui risultato ‘isolano’ è stato in parte annullato dalla commissione elettorale e dalla direzione nazionale. Cioè, semplificando, “da Roma”.

Alla fine di un dibattito a tratti drammatico, la direzione regionale riunita a Oristano ha votato all’unanimità un documento che dà mandato al segretario Silvio Lai di andare da Pier Luigi Bersani per chiedergli di rimettere in discussione le liste già predisposte e tornare sostanzialmente al risultato delle “Parlamentarie”.

Ma quali sono le strade per raggiungere un risultato del genere?Fondamentalmente sono due, che chiameremo ‘aggiustamento’ o ‘avvio di una fase costituente’. Sono strade totalmente diverse nella forma (e nel significato politico) anche se convergenti nella sostanza. Val la pena di ragionarci. Senza dimenticare, ovviamente, che esiste anche la possibilità che, semplicemente, le richieste sarde venga respinte in tutto o in parte al mittente.

Bisogna prima di tutto tener presente che un partito, qualunque partito diciamo ‘serio’, ha le sue regole. Un suo ‘ordinamento giuridico’. E che in base a queste regole una decisione assunta da un organo sovraordinato (come la direzione nazionale) in virtù di altre scelte fatte da un organismo che è stato sciolto dopo aver concluso il suo lavoro (il comitato elettorale) molto difficilmente possono essere rimesse in discussione. Perchè bisognerebbe poter svolgere il processo contrario, e nel caso specifico è tecnicamente, ancor prima che politicamente, impossibile. Anche nel caso improbabile, per non dire assurdo, che Bersani volesse riconvocare la direzione nazionale per rivedere la lista sarda, non ci sarebbe il tempo materiale per farlo.

Ma allora quali sono i margini di trattativa a disposizione del segretario regionale Silvio Lai per adempiere al mandato che gli è stato conferito a Oristano. E cioè, sostanzialmente, per tornare al risultato delle primarie? Come si diceva, sono due: ‘aggiustamento’ o ‘fase costituente’.

La strada che viene indicata come più probabile (ed è stata suggerita in una serie di interventi) è quella dell’aggiustamento. Cioè la seguente: ottenere dalla segreteria nazionale la restituzione del famoso quarto posto nella lista della Camera. Questo posto ha una storia. Inizialmente pareva essere stato destinato ad Alessandra Tresalli, renziana e consigliere comunale di Carbonia. Poi, in seguito a forti resistenze emerse in sede locale, è stato ‘ripreso’ dal nazionale che l’ha messo nella quota destinata al Partito socialista italiano (che, in base agli accordi, dovrebbe avere cinque deputati in tutt’Italia).

In questo quarto posto ancora non c’è un nome, ed è nella disponibilità di Bersani. In quale potrebbe ‘restituirlo’ senza per questo andare contro il voto della direzione nazionale. Stando, cioè, all’interno delle regole dell’ordinamento giuridico del Partito democratico. Un altro posto, sempre secondo le ipotesi che circolavano dopo la conclusione della direzione di Oristano, potrebbe essere recuperato attraverso la volontaria rinunzia di un ‘recuperato’ e anche attraverso il sacrificio volontario di qualcuno dei vincitori delle primarie. Anche in questo caso, si starebbe perfettamente all’interno delle regole: nulla infatti vieta che un singolo, benchè designato dalla direzione nazionale, decide per fatti suoi di farsi da parte.

La via della “fase costituente” è molto più complessa. Porterebbe allo stesso risultato determinando però, contemporaneamente, un’accelerazione formidabile dell’estenuante e lentissimo processo di ‘distacco concordato’ (per arrivare a una organizzazione autonoma federata) del Pd sardo da quello nazionale. Un’accelerazione che sul piano elettorale – specie in vista delle elezioni regionali dell’anno prossimo – sarebbe di grande giovamento per il Pd.

La soluzione consiste in una “rottura concordata” dell’ordinamento. Cioè in una presa d’atto, da parte del segretario nazionale, della ‘specialità’ della situazione sarda. D’altra parte il segretario Silvio Lai, non firmando (unico in Italia) l’intesa sulla lista, ne ha creato i presupposti ‘giuridici’. Perché ha formalizzato un atto di ‘rottura’ politica che la direzione regionale di Oristano ha condiviso all’unanimità, dandogli infatti il mandato di ricontrattare le liste.

In questo caso il problema del rispetto delle regole generali sarebbe superato da un atto superiore e diciamo ‘costituente’. Così come davanti alla volontà unanime di un territorio di staccarsi dallo Stato cui appartiene, se non si vogliono usare i carri armati si modifica la Costituzione, allo stesso modo davanti alla volontà unanime di un partito regionale di decidere in modo autonomo, se non si vuole perdere quel pezzo di partito, gli si riconosce una ‘autonomia speciale’. Atto nella disponibilità del segretario nazionale in quanto massimo responsabile politico.

Che venga percorsa questa seconda strada, va detto, è abbastanza improbabile. Perchè è complessa e rischiosa. E richiede una unanimità pressochè totale e soprattutto convinta. La decisione di almeno provarci o invece di rinunciarvi in partenza può essere oggi lo spartiacque per distinguere – nella moltitudine di dirigenti che a ogni pie’ sospinto parlano di autonomia da Roma – quanti lo affermano con reale determinazione e, quanti, invece, lo dicono solo per modeste valutazioni tattiche e sostanzialmente personalistiche.

Giovanni Maria Bellu

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