Il “caso Barracciu” e i farisei della “questione morale”

Per una sorta di convenzione linguistica – che a dire il vero è stata adottata pigramente anche dagli organi d’informazione – si continua a parlare del “caso Barracciu” e dell’inchiesta sui fondi ai gruppi consiliari come aspetti della “questione morale“. Mentre la verità è che la “questione morale” non solo non è mai stata seriamente affrontata in questi anni, ma ancora oggi – nonostante venga tanto spesso menzionata – non è tra i temi principali del dibattito politico. Certamente non del dibattito politico isolano. Infatti non è stato dal punto di vista della “questione morale” che i partiti hanno fino a ora discusso della questione dell’utilizzo dei fondi destinati ai gruppi consiliari.

Si tratta naturalmente di intendersi sul significato della locuzione lanciata da Enrico Berlinguer più di trent’anni fa nella celebre intervista con Eugenio Scalfari. Rileggiamone uno dei passi più significativi: “I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”.

Era il 1981. Berlinguer escludeva da quella descrizione il suo partito, il Pci (“Per noi comunisti la passione non è finita”, disse a Scalfari). E uno dei primi problemi che dovrebbero porsi quelli che si considerano i suoi eredi politici è se quell’esclusione possa valere anche oggi. O se invece quel problema li riguardi in tutto o in parte. Questo sarebbe un modo di interrogarsi appunto sulla “questione morale”. Che è problema ben diverso dalle “questioni giudiziarie” che sono eventualmente uno degli effetti, ma non il solo, e nemmeno il più complesso, di quella degenerazione denunciata da Berlinguer.

La “questione morale” – se vogliamo usare la definizione nel significato autentico – non si pone quando arriva un avviso di garanzia a un esponente politico. Viene molto prima e non necessariamente coincide con la commissione di un reato. Si può agire in modo politicamente amorale e essere perfettamente in regola con la legge. D’altra parte, quando fuori dal dibattito politico si parla di “problemi morali” non si sta discutendo – e in questo caso il concetto è chiaro a tutti – di crimini. Se si tradisce la parola data, per esempio, non si commette alcun reato, ma si mette in atto un comportamento moralmente riprovevole.

La questione dei “fondi ai gruppi” ha certamente a che fare con la “questione morale”. Ma avrebbe a che fare con essa anche se, per ipotesi, si concludesse con un’assoluzione generale dei consiglieri coinvolti. E’ infatti una vicenda da cui emerge in modo evidente una certa idea dei partiti come luoghi di privilegio, avulsi dalla realtà, lontani, per usare le parole di Berlinguer, dai “problemi della società e della gente”.

Lasciando da parte alcuni specifici casi di uso improprio dei fondi – i matrimoni a spese pubbliche, l’acquisto di Mont Blanc e di argenteria: vicende che, se provate, apparterrebbero all’antichissima “questione criminale” e non alla “questione morale” – e restando alla ‘routine’ dell’uso di quel denaro si ha un quadro abbastanza semplice. Esisteva un fondo destinato all’attività politica dei gruppi consiliari che veniva distribuito in parti uguali, come se si trattasse di una “paghetta” integrativa, ai singoli consiglieri. I quali – nella maggior parte dei casi del tutto in buona fede – la utilizzavano come se fosse una sorta di rimborso spese anticipato: per pagare convegni, addetti stampa, cene elettorali, incontri politici, spese di viaggio. Con la convinzione di poterlo fare – perché così facevan tutti – e certi di non dover rendicontare. Poi è arrivata la magistratura che ha posto il problema della “inerenza” di quelle spese con l’attività dei gruppi. Ed è nata l’inchiesta con la pioggia di avvisi di garanzie per peculato.

Non a caso questi avvisi hanno colpito per intero alcuni gruppi consiliari: oggetto dell’indagine è il metodo, il sistema adottato. Emblematica da questo punto di vista la vicenda del consigliere dell’Italia dei Valori Adriano Salis il quale, per quanto si è capito, ha presentato una serie di “pezze giustificative” nella convinzione di chiarire di aver speso il denaro in modo legittimo ed è stato ugualmente condannato. Ed è in questo contesto che vanno inquadrate le tesi difensive messe in campo dai consiglieri, a partire da quella dei “rimborsi benzina” di Francesca Barracciu. Si ha la netta impressione che siamo entrati un un campo di supertecnica giuridica e di un caso giudiziario che con tutta probabilità sarà risolto dalla Cassazione.

La “questione morale” rispetto a questa vicenda non è un problema di Francesca Barracciu, ma dei partiti ai quali appartenevano i consiglieri assieme a lei coinvolti nell’inchiesta. Riguarda la leggerezza, la svagatezza, con cui sono stati gestiti quei fondi. E si pone sullo stesso piano di altre vicende che invece non hanno avuto (né tecnicamente possono avere) conseguenze giudiziarie. Per esempio quella dei consiglieri regionali “morosi” nei confronti del loro partito. Che, cioè, non versavano la quota della loro indennità benché si fossero impegnati a farlo all’atto della candidatura. Sono questioni ben note nel Palazzo, che vengono celate all’opinione pubblica, quasi si trattasse di beghe familiari. Fatto sta che alcuni di questi “morosi” si sono decisi a saldare il debito solo quando, giunti alla vigilia delle elezioni Politiche, è stato loro comunicato che se non l’avessero fatto non sarebbero stati candidati.

La “questione morale” intesa in modo corretto chiama in causa il modo di fare politica, il fatto di intenderla come servizio alla cittadinanza e non come una professione da cui trarre tutti i benefici e i privilegi più a lungo possibile. La vicenda dei fondi ai gruppi ha suscitato un dibattito su questi temi? Non risulta.

Nel caso di Francesca Barracciu, si ha anzi l’impressione che la “questione morale” sia stata chiamata in causa per risolvere problemi di altra natura. E molto probabilmente c’è anche questa precisa consapevolezza all’origine della resistenza della Barracciu a farsi da parte. Il gruppo di forze politiche che si oppone alla sua candidatura in nome della questione morale è costituito sostanzialmente dalle stesse forze che la contrastavano anche prima dell’avviso di garanzia.

E’, per esempio, molto significativo il fatto che esse si siano in buona parte coagulate attorno alla figura di don Ettore Cannavera il quale, poco prima delle Primarie, era stato indicato come candidato del centrosinistra da uno degli attuali oppositori della Barracciu (Paolo Fadda) e subito accolto con grande favore da uno dei partiti che oggi chiedono il “passo indietro” (Sinistra ecologia e libertà). Emblematico, poi, il caso dei Rossomori i quali, legittimamente, anche prima delle Primarie si opponevano a Francesca Barracciu per le sue aperture ai sardisti, nel timore di perdere l’esclusiva “sovranista” all’interno della coalizione del centrosinistra. Oggi sono tra i principali sostenitori di questo uso improprio della “questione morale”.

Eppure i Rossomori avrebbero avuto l’opportunità di porre in modo diretto e non strumentale il problema “morale”. Sarebbe bastato che, coerentemente,  ribadissero che non è proponibile l’ingresso in un’alleanza costituita dai partiti dell’opposizione di una forza politica che è stata nella maggioranza per l’intera legislatura. Ecco: per il Partito sardo d’Azione si pone una “questione morale” e riguarda appunto l’idea del partito come strumento di permanenza nei luoghi di potere. Ed è una questione che si pone senza alcun bisogno di avvisi di garanzia.

Il problema che oggi si pone per Francesca Barracciu è diverso. Non riguarda la “questione morale” (che, ripetiamo, attiene all’idea di base che ha guidato la distribuzione dei fondi destinati al gruppo consiliare), ma l’opportunità politica. E, da questo punto di vista, è un caso molto semplice. Specie se si intende la politica come servizio e il partito come strumento al servizio dei cittadini, per cambiare le cose.

La domanda è se in questa fase sia appunto opportuno presentare come candidato al governo della Regione un esponente politico sul quale pesa un avviso di garanzia per peculato. Se la difesa ‘supertecnica’ imbastita sapientemente dai suoi legali sia digeribile per l’opinione pubblica (vengono forti dubbi nel leggere i commenti feroci su “benzinai” e “cilindrate” e “carburatori” che puntualmente accompagnano le uscite della Barracciu). Se sia anche ‘tatticamente’ astuto privarsi, con una simile candidatura, degli innumerevoli argomenti contrari a quella del governatore in carica per via dei suoi guai giudiziari. Verrebbe infatti molto male sconsigliare l’elezione del pluri-indagato Cappellacci a un competitor ugualmente indagato.

Sono considerazioni di puro buonsenso. Alle quali possono esserne aggiunte altre, diciamo “a tutela” della stessa Barracciu. E’ infatti del tutto evidente che se insistesse nella candidatura e il centrosinistra perdesse le elezioni, la responsabilità della sconfitta le sarebbe attribuita per intero. Con un danno enorme, e forse definitivo, per la sua carriera politica.

Se la Barracciu, come è auspicabile, farà il passo indietro, le dovrà essere dato atto di aver affrontato per prima, e con un atto di coraggio, la “questione morale”. Ma non per aver rinunciato alla candidatura a causa dell’inchiesta giudiziaria. No: per aver agito con spirito di servizio. Mettendo davanti a tutto – anche agli attacchi strumentali e ipocriti dei moralisti dell’ultim’ora – l’interesse della Sardegna a sconfiggere l’attuale maggioranza.

G.M.B.

 

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