Il Banco di Sardegna non può sparire nel silenzio. Radiografia delle grandi manovre in atto

«Le possibili, imminenti aggregazioni in atto fra le maggiori banche popolari, destinate per legge alla perdita delle loro residue caratteristiche territoriali per divenire “nazionali”, provocheranno certamente nei prossimi anni una forte rivalutazione del ruolo di quelle istituzioni di credito rimaste radicate nelle economie locali: potrebbe essere questo un futuro probabile per il Banco di Sardegna, sempreché ci sia la volontà e l’opportunità di conservarne e tutelarne, all’interno delle concentrazioni in atto, il suo nome regionale e la sua autonomia operativa. Proprio su questa opzione si sarebbe già rivolto, per quel che risulta, l’interesse di alcuni importanti soggetti dell’equity funding internazionale».

Quest’attenzione sarebbe determinata dal fatto che le banche strettamente radicate nell’economia locale (ad iniziare da quelle più piccole) vengono ritenute le più appetibili, per avere registrato interessanti tassi di crescita nell’erogazione dei crediti alla clientela e conseguito degli exploit positivi nell’intermediazione del denaro, oltre ad essersi tenute lontane dalle equivoche ma allettanti sirene della finanza speculativa. Cioè ad essere rimaste delle “vere banche di credito”.

Questo – la frase tra virgolette e la considerazione successiva – è quanto ci segnala un nostro amico milanese, molto addentro nelle segrete stanze della finanza e buon conoscitore del mondo bancario. Aggiungendo che l’avverarsi di quest’intendimento – per quel che riguarda la Sardegna – appare strettamente legato a quel che sarà il futuro della Popolare dell’Emilia Romagna, e, per altro verso, su quale atteggiamento si orienterà la Fondazione, secondo importante azionista della banca sarda.

La situazione della Bpr

Per meglio inquadrare questa vicenda (non certo secondaria per la nostra economia), è parso opportuno, in primo luogo, analizzare la posizione attuale della Banca Popolare dell’Emilia Romagna. Cercando di capire come stia affrontando l’obbligante nodo delle aggregazioni. Per quel che risulta da fonte emiliana, due sarebbero le strade possibili o probabili, ed ambedue ruotano attorno al ruolo dell’attuale Ceo, Alessandro Vandelli: cioè sul suo destino professionale. Perché se l’aggregazione della Bper avvenisse con la Unipol-banca (o con una delle popolari venete), lui avrebbe salvo il ruolo di “numero uno”; altrimenti, se l’aggregante fosse la potente e ben più grande Popolare di Milano (alla guida c’è Giuseppe Castagna, ritenuto banchiere di assoluta caratura ed esperienza), la sua retrocessione sarebbe segnata. Su questa seconda ipotesi starebbe lavorando un gruppo di soci modenesi “non allineati”, fra cui l’ingegner Piero Ferrari, il figlio del Drake di Maranello, da tempo assai critici sulla gestione di Vandelli.

Le scelte della Fondazione

A seguire, ci sarebbe da inquadrare il ruolo della Fondazione. Interessata a dover smobilizzare circa la metà della partecipazione azionaria sul Banco di Sardegna (49 per cento), per adempiere all’imposizione ricevuta dal ministero dell’economia. Risulterebbe infatti che il presidente Antonello Cabras stia svolgendo una sua azione presso la Bper perché quel suo 20-25 per cento di azioni del Banco di Sardegna eccedenti, venga scambiato, con un’operazione swap, con azioni della popolare modenese (attraverso, magari, un aumento di capitale “riservato”).

Anche per la Fondazione le strade da imboccare sarebbero infatti due: la prima, quella di contribuire a formare, con le azioni che avrebbe nel capitale Bper (che arriverebbero attorno al 5 per cento), un gruppo di comando a sostegno dell’attuale governance di Vandelli; la seconda, che per taluni sarebbe però poco probabile, ci potrebbe essere un’azione di ricerca per un nuovo azionista di controllo del Banco, interessato a ridargli i connotati  e le efficienze d’una “vera” banca legata all’isola ed alla sua economia.

Lo “sbarco” americano

Ci sarebbe poi da esaminare, come già s’è detto in altro nostro intervento, il ruolo degli investitori internazionali, molto attivi ed interessati sul fronte delle aggregazioni fra banche popolari. Qui, ovviamente, le informazioni ricevute sono molto frammentarie e, per quanto si può arguire, di assai difficile conferma. Risulterebbero però due fatti: (a) che il dottor Marco Morelli, vice chairman europeo della banca americana Merrill Lynch, collegata al potente fondo USA BlackRock, starebbe operando (come attestano diverse fonti finanziarie) per favorire un’aggregazione della Bper con la Popolare di Milano (ambedue partecipate dal fondo USA) con l’obiettivo di “costruire” la terza grande banca nazionale, dopo Intesa e Unicredit; (b) che fra quanti ritengono probabile una rivalutazione importante del ruolo delle banche locali, il Banco di Sardegna risulterebbe, a giudizio dei loro analisti,  il più in grado, per capacità e storia, di ricevere l’interesse di nuovi investitori.

Proprio secondo Alberto Forchielli, uno dei nostri massimi esperti di finanza internazionale, l’arrivo dei grandi fondi USA nel mondo bancario italiano è spiegato dal fatto che si può ora comprare con poco degli asset creditizi che hanno in sé, se ben gestiti, enormi possibilità di crescita. Ed per questo che sono già molto attivi in banche che aspirano ad una ripresa (Monte Paschi) e nelle nuove aggregazioni tra popolari.

Suonerebbe a conferma di questo, la notizia che negli uffici della “BlackRock Italia” si starebbero valutando almeno sei o sette report informativi riguardanti medie banche locali: l’obiettivo sarebbe poi quello di valutare le loro possibili crescite in redditività, valorizzandole attraverso una quotazione in borsa ed introducendo più attente gestioni, settore dove sono degli specialisti (con Banca Intesa avrebbero ottenuto degli ottimi risultati).

Per alcuni specialisti, proprio l’abolizione del voto capitario (cioè “un socio un voto”, indipendentemente dalle azioni possedute) è l’input giusto per cambiare i gruppi di comando, e di controllo, delle nostre maggiori banche popolari. Emblematici paiono al riguardo i casi della Popolare di Milano, dove “comandano” i sindacati autonomi dei dipendenti, e la Bper dove dettano legge ed esercitano da anni la loro forte influenza le cooperative “rosse” della regione (così “Il Fatto Quotidiano”).

Struttura cooperativa della Bper e “piccolo imperi”

Proprio su questa situazione, piace citare un giudizio dell’economista sardo Luigi Guiso espressa su “lavoce.info”: «Nel caso del gruppo “Banca Popolare dell’Emilia Romagna”, la struttura cooperativa – e il voto capitario che la caratterizza – finora è servita esclusivamente ad alcuni ben individuati gruppi di controllo per perseguire le loro ambizioni di costruzione di piccoli imperi, rimanendo al riparo da ogni possibilità di scalata (i soci sono oltre 90 mila), oltre che salvaguardati da critiche sui risultati e da possibili agguati assembleari. D’altra parte, proprio una banca come la Bper, di “mutualistico” ha ormai ben poco, dato che il potere dei suoi amministratori a vita è protetto dal velo della cooperazione». Ed è proprio in questa chiave che un’aggregazione di Bper con la Unipol-banca, anch’essa molto vicina al mondo delle cooperative rosse, troverebbe proprio in Vandelli il suo interessato promotore (ci sarebbero già stati dei pour-parler fra i due Ceo, Alessandro Vandelli e Carlo Cimbri). Anche se, per alcuni influenti soci della Bper, sarebbe più utile al secondo che al primo (l’Unipol-banca soffre infatti da qualche tempo di “febbri perniciose”).

Esisterà dunque una probabilità-possibilità che il Banco torni a “parlare sardo”? È difficile dirlo ora, ma è chiaro che molto dipenderà da quel che riusciranno a promuovere – in intese e in volontà – i maggiorenti sardi (della Regione e della Fondazione). Si è infatti dell’opinione che né un fondo d’investimento, né una banca d’affari, metterebbero su un’operazione sul recupero della sardità operativa del Banco di Sardegna senza l’appoggio ed il consenso di Regione e Fondazione.

Su questo fronte abbiamo però colto l’impressione che ci sia – soprattutto nella Fondazione – molta diffidenza nei confronti dei fondi e delle banche d’investimento USA: se ne teme l’invadenza e si diffiderebbe della bontà delle loro reali intenzioni. Risulterebbe comunque – anche se non se ne hanno conferma – che ci siano stati già dei primi approcci informativi, sterilizzati però dalle incertezze manifestate dall’interlocutore sardo e dalle conseguenti perplessità maturate nel proponente americano.

Il silenzio delle istituzioni e dei media sardi

Fino ad ora, per la verità, né Francesco Pigliaru né Antonello Cabras hanno espresso – almeno pubblicamente – una loro opinione in proposito. Quasi che il matrimonio sardo-modenese vada sempre bene ad entrambi. O che, per opposta lettura, ritengano di non avere forza sufficiente per favorire un divorzio. Per essere ancora più chiari, sembrerebbe che la partecipazione nel capitale del Banco, pur così sostanziosa, sia sempre più condannata alla sterilità (cioè, fuori di metafora, a non contare nulla, suddita impotente del potere modenese). Proprio per questo viene difficile capire perché la Regione, quale tutrice istituzionale degli interessi dei sardi, non debba, o non voglia, o addirittura non possa dimostrare interesse su come vada impiegato il patrimonio della Fondazione (oltre 900 milioni di euro), che è – lo ripetiamo per l’ennesima volta – un bene originario di tutti i sardi (per taluni le vere ragioni del disimpegno sarebbero tutte “interne” al partito di maggioranza della regione).

Si tratta, come vedete, di un quadro assai complesso, ed anche un po’ confuso. Da una parte ci sarebbe infatti la “grande incertezza” in casa Bper, e dall’altra c’è la “grande indecisione” in casa Fondazione (per non aggiungere la colpevole inazione della Regione sarda): il tutto come causa ed effetto di titubanze, di retromarce e di sudditanze.

Comunque, noi di Amsicora stiamo monitorando quotidianamente l’evolversi delle diverse situazioni, forse gli unici nell’isola – anche grazie all’ospitalità di Sardinia Post – a tenere sotto analisi il mondo creditizio sardo.  Nell’intento di poter recuperare i valori, imprescindibili per la ripresa dell’economia regionale, della presenza d’una banca fortemente radicata nell’economia locale (secondo l’ultimo bilancio del Banco di Sardegna “bperdipendente”, i crediti alla clientela locale sarebbero ancor più diminuiti rispetto alla media del sistema, a conferma di una continua estraneità di quella banca dalle esigenze locali).

Ed in proposito vi è infatti da sottolineare, come colpevole anomalia, il fatto che gli organi d’informazione presenti nell’isola, così attenti a pubblicare le “veline” degli uffici stampa bancari, nulla scrivano, e nulla commentino, su quanto va evolvendosi dalle parti del credito e dintorni. Con riflessi non certo indifferenti per il futuro della Sardegna. Neppure il Consiglio regionale sembra porsi come oggetto di valutazione (e di riflessione) quanto sta avvenendo nel mondo delle banche popolari: non foss’altro perché ben tre, tra le più importanti istituzioni creditizie sarde, paiono direttamente coinvolte da quel che avverrà in casa Bper. Che, in previsione di un suo futuro “altro”, ha già tenuto ben separate le sole presenze sarde dall’assorbimento, sotto il nuovo brand di “Bper banca”, della decina di piccoli istituti che formavano in origine il “gruppo bancario” come holding d’una c.d. banca federale, rispettosa dei singoli radicamenti territoriali. Segno, questo, che potrebbe essere premonitore (?), secondo alcuni, d’una possibile e non lontana dismissione delle attività bancarie nell’Isola (secondo i modenesi, la redditività bancaria nell’Isola sarebbe inferiore a quella del Centronord di quattro-cinque punti percentuali).

C’è infine una domanda che viene spontanea dopo tutto quel che si va scrivendo in merito al pericolo di sparizione della nostra maggiore banca locale (circa 300 sportelli nell’Isola ed il 30-35 per cento dei sostegni creditizi peraltro in perenne calo, da tempo niente più che una anonima dipendenza della Bper). La domanda sarebbe questa:

“Non credete che l’opinione pubblica sarda dovrebbe essere informata su cosa ne pensano al riguardo i Consiglieri regionali, i diversi gruppi e partiti politici, i sindacati dei lavoratori, le associazioni datoriali e di categoria?

Noi di Amsicora, ad esempio, ne abbiamo curiosità ed interesse. Crediamo che Sardinia Post sarebbe ben lieta di ospitare le loro osservazioni.

 Amsicora

 

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