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I tablet della giunta Cappellacci. Ed è subito clientela

All’apertura della scuola, oggi, i soliti mille problemi e forse fra poco anche trentamila tablet di prese in giro.

Quello della scuola digitale è decisamente un cambiamento inevitabile e necessario, che viene dal basso, chiesto a gran voce in questi anni dagli studenti dell’era 2.0, la generazione “social”, i cosiddetti “nativi digitali”. Bambini, adolescenti, ragazzi che on line sentono di esprimere se stessi meglio che offline o che addirittura percepiscono il web come l’unica dimensione possibile. Ragazzi cresciuti a pane e tecnologia, autodidatti dell’High Technologies, moderni, aggiornatissimi, come e spesso più dei loro genitori, che sembrano nati con una patente Ecdl incorporata.

Ma neanche i nativi “nascono imparati”. Compito della scuola e della politica sarebbe riuscire a cogliere l’opportunità offertaci dalle tecnologie per modificare, adattare la didattica, e ritagliare uno spazio di interazione nuovo, rinnovato, senza perdere di vista gli obiettivi fondamentali, ma senza nemmeno perdere l’attenzione per la tecnologia e farci sopraffare da questa ansia di essere tecnologici a tutti i costi. Dovremmo aiutare il ragazzo a diventare protagonista di questa era, a sviluppare e creare un proprio metodo di apprendimento, un metodo personalizzato, congeniale, alternativo a quello che si impara sul banco tradizionale, che va via via scomparendo. Ma a questo obiettivo non sembra più mirare il progetto SEMIDAS, snaturato fino a diventare solo uno spot elettorale che potrei riassumere in: tablet et circenses.

Che il progressivo depotenziamento del progetto scuola digitale sarda sia avvenuto per interesse, per logiche clientelari, perché i burocrati in Regione di scuola ne capiscono poco, perché impauriti da un progetto che avrebbe consentito alle famiglie sarde di non spendere più un euro per i libri, o per un mortifero abbraccio di tutte queste concause, poco cambia. Così com’è, somiglia alla giunta regionale e a tanta nostra classe politica: vuoti contenitori senza contenuti. Lo slogan: “un tablet al posto dei libri di testo” dice tutto o nulla. Perché il tablet non ingloba né sostituisce i contenuti, è banalmente un medium, un supporto per gli stessi.

Anche il libro di carta è una tecnologia, che si è perfezionata nel corso di millenni e che ha preso la forma attuale più o meno ai tempi di Gutenberg. I contenuti ospitati da un tablet possono essere dello stesso tipo, oppure si può immaginare di costruirli ad hoc per quello spazio così agevole e malleabile: esercitazioni interattive direttamente composte dentro il testo.
Ci si può limitare ad archiviare su internet polverosi (e spesso giganteschi) file pdf che nel bene e nel male replicano i contenuti cartacei, o si può scegliere la via più visionaria ed efficace di interpretare i cambiamenti; quella che stava poi nello spirito originario del Progetto SEMIDAS.

Un progetto teso a creare un sistema di istruzione tutto sardo, coeso ed innovativo. Agevolare tradizione ed innovazione creando quelli che si chiamano “libri liquidi”, testi che spingono al massimo le potenzialità ipertestuali di un libro digitale e insieme mirano a creare comunità di insegnanti e studenti al lavoro intorno ai propri testi (notevole, tra le altre cose, la possibilità, da parte del docente, di comporre il libro di testo a proprio piacimento e di poter personalizzare classe per classe questa composizione). Io prediligo la seconda ipotesi poiché credo che le rivoluzioni non si facciano col ferro (LIM e tablet), ma con le buone idee.

E in Sardegna esiste già una piattaforma di questo genere, si chiama IMPARI ed è stata creata da Luciano Pes, insegnante di Filosofia e coautore del Progetto SEMIDAS, ma si è persa l’ottima occasione di adottarla o valorizzarla da parte nostra Regione. Perché parlare di contenuti è pesante e noioso e non fa lo stesso effetto che: più tablet per tutti.

IMPARI, nome doppiamente evocativo, in lingua sarda significa insieme, mentre in italiano esprime la seconda persona indicativa del verbo imparare, e consiste infatti nella costruzione di materiali didattici digitali che avrebbero dovuto produrre tutte le scuole e i docenti della Sardegna secondo un modello di social learning basato sulla condivisione, di cui la Regione si sarebbe dovuta, e spero si farà, in un futuro prossimo, carico.

Perché mettere gli insegnanti in rete e produrre contenuti personalizzabili ed integrabili, è una bella fatica certo, ma ha il doppio vantaggio di contenere i costi per le famiglie e insieme di offrire una buona qualità dei contenuti nel rispetto dei diritti d’autore.

Questa sarebbe la vera sfida, che ancora una volta, per inerzia, incapacità o interessi, la nostra giunta non ha raccolto privilegiando l’investimento sul “ferro” a quello sul capitale più sicuro e redditizio che ci sia: quello umano.

Marina Spinetti

 

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