Pd e Pdl: uccidere i “padri” per sperare di restare in vita

La rapidità con cui il governatore Ugo Cappellacci e la presidente del consiglio regionale sardo Claudia Lombardo (i quali, benché eletti sotto lo stesso simbolo, notoriamente si odiano) hanno fatto propri i venti romani di pace e “larghe intese”, non è sorprendente. Si tratta, nonostante l’età non avanzata, di due vecchi politici. Sicuri dell’ immutabilità del sistema. Sì, sanno che fuori del Palazzo la situazione è grave, ma escludono che sia grave fino al punto da mettere in discussione il Palazzo stesso. Credono che l’unico problema sia il perdurare della loro permanenza al suo interno.

Così si posizionano in attesa delle elezioni regionali. Il governatore, che è meno fantasioso, si vede come una possibile versione sarda di Angelino Alfano. Al governo comunque, sia che si perda sia che si vinca. Tutti impegnati, attuale maggioranza e attuale opposizione, in un progetto ecumenico per la rinascita della Sardegna. Claudia Lombardo, che è una donna e dunque è più coraggiosa, si proietta del futuro prefigurando una ‘grande coalizione’ in chiave sardista. La Grande Crisi diventa così, paradossalmente, il Grande Pretesto per conservare lo status quo.

A entrambi sfugge un particolare non secondario. Che l’intelligentissima operazione politica messa in atto da Enrico Letta è stata resa possibile da una necessità del tutto assente in ambito regionale – tranquillizzare i mercati ed evitare una nuova esplosione dello spread – e soprattutto da un metodo che da solo contraddice e annulla le ambizioni di Ugo Cappellacci, Claudia Lombardo e dei loro vecchi colleghi della maggioranza e dell’opposizione: un formidabile reset. Letta, nel formare il suo governo, è stato ben attento a tenere fuori le personalità che avrebbero potuto richiamare il vecchio.  Inteso sia come vecchi governi, sia come vecchi politici. Di entrambe le coalizioni: non Gelmini, non Brunetta, non D’Alema, non Fioroni. Per fare solo alcuni nomi.

L’operazione avviata da Letta è difficilissima: è il tentativo di accompagnare in modo morbido, senza traumi, il passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica. Salvaguardano l’esistenza delle due coalizioni all’interno delle quali si erano risistemate le forze politiche della Prima. La consapevolezza della difficoltà è tale, ed è così condivisa, che i capi bastone di Pdl e Pd hanno accettato di farsi da parte. Che poi siano dietro l’angolo col bastone in pugno è un altro discorso. L’apparenza – che in questo caso era importante – è di un ‘governo nuovo’ nato dalla cosa più vecchia che si poteva immaginare: l’accordo tra Pd e Pdl.  Il teorema di Letta è il seguente: più sono presenti nomi vecchi, più le “larghe intese” vengono avvertite come inciucio, più sono presenti nomi nuovi, più appaiono come un tentativo virtuoso e coraggioso di salvare il Paese.

Il successo dell’operazione è subordinata – oltre che al conseguimento di risultati decorosi  in campo economico e di equità sociale – alla capacità di mantenere inalterata, nel corso della vita del governo, la percezione di novità che il nuovo premier è riuscito a diffondere col suo discorso programmatico. Gli ostacoli come è noto sono parecchi. Non solo la situazione giudiziaria di Berlusconi e la possibilità che vengano pretesi inaccettabili salvacondotti per l’ex premier pluri-inquisito. Ma anche, e forse soprattutto, il rischio che dopo qualche tempo i capi bastone, rinfrancati dallo scampato pericolo, tornino in campo. Lo scenario più ottimistico è quello di una doppia ‘uccisione dei padri’ con l’affermazione, sia nel Pd, sia nel Pdl – nel corso della vita del governo Letta – di nuovi gruppi dirigenti.

Lo stesso schema vale per la Sardegna. I partiti e le coalizione tradizionali hanno una sola speranza di sopravvivere: attuare un rinnovamento, o almeno la sua apparenza. Nel caso in cui il rinnovamento sia vero, l’operazione avrà fiato. Se sarà apparente in un tempo più o meno lungo l’inganno sarà scoperto e le conseguenze saranno politicamente drammatiche. Per questo suonano stonati, e per certi aspetti patetici, i discorsi di Cappellacci e Lombardo. Discorsi che, d’altra parte, sono composti dalle stesse note sgangherate dei discorsi dei vecchi dirigenti democratici che oggi tentano di riposizionarsi assecondando il nuovo clima. Ricordano gli ultimi balbettii di Pier Luigi Bersani quando, improvvisamente e troppo tardi, cominciò a precisare, dopo ogni discorso, che quel discorso era stato diffuso anche “dalla Rete”.

L’unica possibilità di sopravvivenza degli attuali partiti è un radicale ricambio interno. Siccome il tempo è poco, i vecchi dovrebbero essere generosi e lungimiranti. Come non sono mai stati, purtroppo. E infatti siamo a questo punto.

Giovanni Maria Bellu

 

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