Il funerale di Sassari: la Rete come strumento per l’apologia del fascismo

Sarà la magistratura a stabilire se gli organizzatori e i partecipanti al funerale del professor Giampiero Todini abbiano o meno consumato il reato di apologia del fascismo previsto dall’articolo 4 della legge 645 del 1952, più nota come “legge Scelba”, dal nome del suo promotore, Mario Scelba, all’epoca ministro dell’Interno e poi, tra il 1954 e il 1955, presidente del Consiglio dei ministri.

Ricordare oggi l’autore di quella legge non è un puntiglio. Mario Scelba è passato alla storia del secondo dopoguerra non tanto per quella legge – che dava attuazione alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione (“È  vietata la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”) – quanto come il pianificatore di durissime repressioni delle manifestazioni sindacali. Un anticomunista convinto, un atlantista militante.

Il suo nome oggi ci aiuta a ricordare che il divieto costituzionale di riorganizzare il partito fascista fu uno degli atti fondativi della Repubblica, condiviso dai democristiani come dai comunisti negli anni di massima contrapposizione, gli anni della Guerra Fredda. Si trattava di recidere sul nascere eventuali germogli della malapianta che aveva condotto l’Italia alla catastrofe, all’alleanza con Hitler, alle leggi razziali, alla cancellazione ventennale dei diritti politici.

Nel 1956 la Corte costituzionale si pronunciò sulla legittimità  della legge Scelba, da subito contestata (in nome della Costituzione!) da esponenti del Movimento sociale italiano, cioè del partito che si richiamava esplicitamente alla tradizione fascista. L’anno successivo la Consulta si pronunciò: la norma era legittima. Ma precisò che per consumare il reato non era sufficiente una “difesa elogiativa” del fascismo. Era necessario che l’esaltazione del regime mussoliniano si configurasse come un atto tale da poter favorire la riorganizzazione del partito. Orientamento confermato anche da recenti sentenze della Cassazione che hanno sostanzialmente “depenalizzato” il saluto romano.

Pare essere questa – stando a quanto ha dichiarato il figlio del professor Todini – la difesa tecnica preventiva dei potenziali indagati.  Ma, se badiamo alla sostanza dei fatti e dei comportamenti, non ci può essere alcun dubbio attorno al fatto che domenica a Sassari si è svolta una celebrazione del fascismo, compiuta secondo una precisa liturgia. E forse nel valutare la potenzialità “riorganizzativa” dell’evento, la magistratura dovrebbe prendere in considerazione che a diffondere il video attraverso un social come Facebook sono stati gli stessi organizzatori. Sono stati loro, cioè, a trasformare il funerale in un fatto mediatico. Hanno anche raccolto un considerevole numero di “mi piace” e hanno svolto – attraverso la Rete – una massiccia attività di proselitismo.

Di certo oggi non avremmo questi dubbi se non si fosse arenato sul finire della scorsa legislatura il disegno di legge presentato dal parlamentare del Pd Emanuele Fiano che prevedeva l’introduzione nel codice penale di un articolo che avrebbe punito “chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco”. Che è precisamente, quanto ai “contenuti propri” del partito fascista, quel che è accaduto domenica a Sassari. Lo stesso disegno di legge prevedeva che le pene (che andavano dai sei mesi ai due anni) fossero aumentate di un terzo se il reato fosse stato commesso su Internet.

Il disegno di legge Fiano riaprì l’eterno dibattito attorno agli strumenti da utilizzare per contrastare i rigurgiti neofascisti: la repressione penale o l’educazione civica? Quanto alla prima, come abbiamo visto la norma è per certi versi ambigua e non tiene in alcun conto, come è ovvio visto che risale al 1952, del devastante potere della Rete. C’è da augurarsi che ne tenga conto la magistratura, nella sua funzione interpretativa delle legge. Quanto all’educazione civica, la sostanziale assenza del suo insegnamento è testimoniata quotidianamente ancora una volta dalla Rete, dall’espandersi del discorso d’odio, dalla diffusa ignoranza attorno a principi fondamentali della Costituzione, a partire dal diritto d’asilo. Il funerale sassarese non è stato altro, in fondo, che un vecchissimo prodotto dei tempi nuovi.

GMB

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