Errata corrige (estivo) in salsa grillina. Scordate che ‘1 vale 1’. Ora ‘1 vale 0’

Ripetiamo insieme e diciamo che ‘1 non vale più 1’. Ripetiamo insieme e diciamo che adesso ‘1 vale 0’. Sembra uno scioglilingua. Una roba alla trentatré trentini andarono a Trento. Invece è la nuova trovata del Movimento Cinque Stelle che, in piena estate, mentre abbiamo occhi soltanto per il termometro, ha deciso di lanciare il “Mandato zero“.

Cosa sia questa numerica invenzione politica lo ha spiegato ieri sera il vicepremier e ministro Luigi Di Maio attraverso un “tutorial” – così ha detto – nel quale informa che per gli M5s è diventato necessario “non disperdere l’esperienza maturata nei Consigli comunali”. Ergo “il primo mandato” fatto in un’assiste municipale “non si conta nella regola dei due mandati”. Vale zero, appunto. Aria-fritta.

Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa in Sardegna Nicola Bianchi, deputato dal 2013 al 2018, non ricandidato alle Politiche dello scorso anno perché tra 2011 e 2012 aveva fatto il consigliere comunale a Sennori, il suo paese, per una dozzina di mesi. Poi si era dimesso per candidarsi alla Camera. Bianchi non ha potuto far nulla per spiegare a Di Maio (ed entourage) che un anno di incarico non vale un mandato intero nemmeno per la legge italiana (servono due anni e mezzo e un giorno). La sua esclusione dalle liste è stata decisa, senza possibilità di appello, proprio in virtù del limite dei due mandati. Quello stesso che adesso viene polverizzato.

È evidente che il problema del nostro Paese non è solo la classe dirigente, nazionale o locale. Il problema è la memoria corta degli italiani, la totale rinuncia all’onestà intellettuale come valore civico. Sia chiaro: l’M5s ha tutto il diritto di rivedere le proprie regole. Ma se Di Maio considerasse gli elettori almeno un pochino intelligenti e non alla stregua di sconsiderati creduloni, avrebbe fatto un discorso molto meno ipocrita. Ammettendo, senza prendere in giro nessuno, che pure agli M5s piace fare gli stipendiati della politica. Anche per più di dieci anni, tanto da aver deciso di mandare al macero un caposaldo della politica grillina.

Il capo di M5s ha fatto ricorso alla sua arma prediletta, il populismo 2.0, per nascondere che si stava rimangiando un principio chiave dello Statuto interno di M5s, un corpus di regole sbandierate a ogni elezione dal 2011 in avanti. Quindi: se l’esperienza in politica la tirano in ballo gli altri partiti, è solo una becera scusa per restare incollati a una poltrona; se al contrario è lo stesso Movimento a metterla sul piatto, diventa in automatico cosa buona e giusta.

Alessandra Carta

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