Ma tra due anni il Banco di Sardegna esisterà ancora? Una domanda nel silenzio della politica

S’intravvedono purtroppo diverse probabilità che entro 24 o 36 mesi il Banco di Sardegna possa scomparire definitivamente e che insegne furistere sostituiscano la pintadera. Cioè che l’Isola debba perdere la sua banca, quella che aveva cercato faticosamente di conquistare dagli anni cavouriani in avanti per sostenere il suo sviluppo, e che dal secondo dopoguerra, e per almeno mezzo secolo, era stata uno dei pilastri della sua crescita nell’autonomia e nella rinascita.

È stato questo il messaggio ricevuto da un vecchio dirigente di quella banca che ne va seguendo, con evidente e trepidante preoccupazione, il suo declino, paventandone la scomparsa. Non risparmiando delle critiche e degli addebiti verso chi ne avrebbe dovuto tutelare l’indipendenza operativa e la vitalità gestionale. Per noi di Amsicora è stata la conferma di una difficile situazione che ha visto incrociarsi due destini: quello della nostra banca regionale insieme a quello della sua attuale controllante, la Banca popolare dell’Emilia Romagna, Bper, trasformatasi nelle scorse settimane da cooperativa in Società per azioni, e in attesa di capire chi dovrà assumerne la guida da azionista di riferimento.

Occorre quindi ricostruire questi passaggi, ricordando come il capitale del Banco di Sardegna sia in mano, dal 2001, per il 51 per centi alla Bper e per il restante 49 alla Fondazione oggi presieduta dall’ingegner Antonello Cabras. Attualmente il valore di questa partecipazione è indicata in bilancio per un totale di 352 milioni di euro, a cui andrebbe aggiunta la quota di capitale Bper posseduta, pari a poco meno del 3% ed indicata in un centinaio di milioni ai valori di borsa. Appare importante, quindi, dover ricercare le ragioni delle preoccupazioni espresse da quell’amico già dirigente del Banco, alla luce di quel che è avvenuto nelle scorse settimane in occasione dell’assemblea della Bper che ha proceduto alla sua trasformazione in Spa, come disposto dalla legge Renzi-Padoan.

Si è ritenuto quindi di dover individuare, muovendoci sulla base di informazioni raccolte come nelle “spy-stories” (giacché la trasparenza non è una virtù molto praticata da queste parti), quelli che potrebbero essere i futuri prossimi sviluppi; e questo allorquando sarà chiaro a quale gruppo andrà il controllo della Bper divenuta una Spa.
Iniziamo proprio dalla banca modenese. A fine novembre l’assemblea straordinaria degli azionisti ha approvato con il 99,8 per cento dei voti la trasformazione in società per azioni, abbandonando così, definitivamente, la sua natura cooperativistica. Quasi contestualmente, il presidente della banca, Ettore Caselli, si è dimesso: ufficialmente per ragioni strettamente personali legate al suo stato di salute, ma lasciando l’ombra dei recenti forti dissensi con il Ceo della banca, Alessandro Vandelli, in ordine alle possibili ma forse necessarie fusioni con altre popolari (in prima linea il Credito Valtellinese), oltre ad una diversa visione del ruolo futuro della banca (banca nazionale o banca dei territori).

Fonti modenesi ci segnalano come quanto accaduto abbia determinato una condizione di preoccupante incertezza, anche perché non ci sarebbe previsione alcuna su quale gruppo azionario di comando potrà contare la banca nel prossimo rinnovo del suo CdA (con la fine del voto capitario verranno sconvolti e travolti tutti i precedenti gruppi di controllo). Con uno scontro politico tutto emiliano “tra rossi e bianchi”, secondo il commento di un socio ben addentro alle segrete cose di quell’azionariato.
Andrebbe aggiunto che in quell’assemblea anche Cabras, a nome della Fondazione sarda, avrebbe espresso il suo voto favorevole alla trasformazione, senza aver assunto (per quel che risulterebbe) alcun impegno sulle alleanze possibili, ma un portavoce degli azionisti storici ed esponenti dell’imprenditoria locale avrebbe dato per certa ai cronisti l’adesione dell’azionista sardo.

Ma quale è la posizione “effettiva” della Fondazione di Sardegna? Non è stato facile avere delle notizie ufficiali, per cui useremo il condizionale, proprio per sottolineare la “non certezza” delle informazioni raccolte, fra tante difficoltà, da più fonti.

Occorre partire dai due problemi che certamente sono, e non da oggi, sul tavolo delle decisioni del presidente e del CdA della Fondazione: il primo, ovviamente, riguarda come “far pesare” la propria partecipazione in Bper nelle manovre di aggregazione in atto tra il gruppo storico degli azionisti emiliani ed il cartello dei fondi di investimento guidato dalla Merryl Linch. Il secondo attiene alla necessità di dovere e come poter collocare sul mercato una parte (circa due terzi) della propria partecipazione nel Banco di Sardegna in modo da poter rientrare nei parametri restrittivi dettati dal Ministero dell’economia.

Le idee in proposito non sarebbero univoche, in quanto risulterebbe una profonda diversità di vedute tra l’attuale presidente della Fondazione, Cabras, e il presidente del Banco (ed ex presidente della Fondazione) Antonello Arru sulle scelte da fare. Il primo risulterebbe assertore di una liberazione dal “giogo” del clan modenese della Bper mentre il secondo proporrebbe il mantenimento, se non proprio un rafforzamento dell’alleanza con gli attuali vertici del clan emiliano (Vandelli e C.). Su queste diversità di vedute si sarebbe aperta una vera e propria contrapposizione sfociata, per quel che risulterebbe, in una “lite” condita da accuse e controaccuse.

Per dare credito all’informazione (ed ai rumors raccolti anche nella milanese piazza degli Affari) il diverbio sarebbe stato originato dalla decisione di Cabras di non far aderire la Fondazione al gruppo degli imprenditori emiliani per via della loro inconsistenza: s’erano vantati di avere il controllo del 7/8 per cento del capitale, mentre non erano giunti neppure ad averne il 4. Da qui la decisione di ricercare un accordo con i Fondi (titolari di oltre il 10 per cento), onde ottenere la piena autonomia gestionale del Banco di Sardegna, privata da Vandelli e C. di ogni capacità e libertà di movimento (ogni operazione anche di poche decine di migliaia di euro deve ottenere l’ok preventivo da Modena, avendolo spogliato d’ogni potere, oltre che della sua migliore e ricca “polpa” patrimoniale).
Secondo quel che ci viene riferito, la Fondazione avrebbe addebitato infatti alla “cura Bper” l’avere ridotto il Banco ad essere soltanto una semplice dipendenza, talvolta utilizzato come capiente bancomat per sostenerne i progetti d’espansione. Infatti i suoi sportelli, nella raccolta e negli impieghi, risulterebbero alle dipendenze dirette della banca modenese e dei suoi interessi. E di questa situazione, a parere di Cabras, l’avvocato Arru sarebbe uno dei principali responsabili.

Secondo il parere di quest’ultimo, al contrario, proprio quel cordone ombelicale con la Bper avrebbe rappresentato il salvagente del Banco, evitando che finisse come la Banca Etruria o la senese Monte dei Paschi. Infatti, senza l’appoggio dei banchieri di Modena, a giudizio di Arru, il Banco non avrebbe alcun futuro, attribuendo così al proprio agire il merito d’averne mantenuto, in un tempo di continue concentrazioni e fusioni, il proprio brand e le proprie insegne, difendendone così, con l’identità regionale, la sopravvivenza dopo le troppe sbandate gestionali nelle gestioni dei “professori” Idda e Brusco.

Ora, su quella che sarà la decisione finale in ordine a quest’alleanza (attualmente non se ne conosce la sorte, forse peraltro parrebbe già decisa), s’innesta prepotentemente anche il secondo problema sul tavolo delle decisioni della Fondazione, cioè a chi poter e dover cedere la quota eccedente di capitale del Banco, iscritto a bilancio in trecento e passa milioni di euro (ma un analista finanziario l’avrebbe valutato, dopo le sottrazioni patrimoniali e operative subite, ad un valore nettamente inferiore). In effetti l’acquirente non potrà che essere la Bper Spa, e questo per ovvi motivi (tra l’altro inseriti come obblighi statutari), dato che nessuno investirebbe i propri denari in una banca in assoluto dominio di altra istituzione creditizia.

Ed è a questo punto che quel vecchio dirigente ha introdotto il pericolo di sparizione: perché una vittoria del gruppo modenese di Vandelli potrebbe portare, con molta probabilità, ad un’incorporazione del Banco nella Bper, seguendo quindi la sorte delle altre sette o otto banche regionali sparite, perché incorporate nella Grande Bper (alla Fondazione rimarrebbe una partecipazione nella banca modenese, comunque difficilmente in grado di influire sulle decisioni riguardanti il mercato creditizio sardo).

Non vi è dubbio alcuno che, a nostro giudizio, la situazione appaia molto delicata e, per tanti versi, assai critica per l’economia isolana. Sulla quale occorrerà pronunciarsi chiaramente nell’interesse generale della Sardegna di oggi e di domani: e non certo come partigiani dell’uno o dell’altro “Antonello”.

La decisione finale, quindi, non potrà che essere una decisione esclusivamente politica, nel senso che essa non potrà che riguardare l’assetto futuro delle nostre infrastrutture finanziarie. Tra l’altro, il fatto che questa difformità di vedute sia sorta fra due esponenti d’eguale o simile militanza politica (il Partito democratico), non può che interessare proprio la sfera politica e, per essa, il Consiglio e la Giunta della Regione Sardegna. Ed il giudizio di merito su quel che verrà deciso non potrà che spettare al popolo dei sardi che – ricordiamolo ancora una volta – è, per legge, l’esclusivo proprietario di quel 49 per cento di capitale del Banco di Sardegna, del cui utilizzo gli attuali gestori (la Fondazione) ne sono e ne saranno i responsabili. A noi non resta che rimanere in attesa, nella speranza che alla fine prevalga il buon senso ed il rispetto per gli interessi “reali” della Sardegna.

Amsicora

P.S. Abbiamo redatto questo scritto per infrangere ancora una volta l’assordante silenzio con cui i politici, i media, i sindacati e le classi dirigenti in genere, stanno riservando a questa vicenda che – perdonateci l’improntitudine – è ben più importante delle tante beghe, più o meno clientelari o campanilistiche, che si vanno proponendo quotidianamente all’opinione pubblica. Ci fa male, e soprattutto ci indigna, l’affermazione di quegli esponenti politici che sostengono l’essere questa niente altro che una vicenda “del tutto privata che interessa due soggetti privati”, da risolversi tra di loro: cercando così di ignorare, pervicacemente, quale sia la vera specie (pubblica e non privata) del patrimonio della Fondazione di Sardegna. In più, l’atteggiamento passivo della Giunta regionale (e dei partiti che la sostengono) su questa vicenda non può che stupire, vista l’importanza strategica che il credito bancario, per comune giudizio, riveste per il sostegno della nostra economia debilitata dalla crisi. Concludiamo con il segnalare a Pigliaru & C., perché vi si ispirino, quanto va facendo il governo nazionale sulla vicenda, anch’essa “privata”, sorta fra Vivendi e Mediaset, in difesa dell’italianità di un assetto strategico come l’informazione.

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