Zedda racconta Cagliari dopo 10 anni: “Truzzu pensa al potere, noi alla città”

Dacci le chiavi, Emilio dacci le chiavi“. Con questi cori il 30 maggio del 2011 il centrosinistra festeggiava in piazza l’elezione di Massimo Zedda a sindaco di Cagliari. L’allora esponente di Sel lasciò il seggio in Consiglio regionale per prendere la guida di Palazzo Bacaredda dopo due mandati di Emilio Floris: dall’introduzione dell’elezione diretta del sindaco con Zedda il centrodestra finì per la prima volta all’opposizione. Dopo la riconferma al primo turno nel 2016, tre anni dopo ha fatto il tragitto inverso, togliendosi la fascia tricolore per cercare di sconfiggere Solinas, per poi perdere e tornare tra i banchi dell’opposizione in Consiglio regionale. Oggi, a dieci anni esatti da quell’elezione alla guida di Cagliari, Zedda racconta come secondo lui sia cambiata la città, soffermandosi sui risultati portati a casa durante quell’esperienza, ma con uno sguardo anche alle incompiute e ai problemi rimasti irrisolti. Ricordando il passato svela qualche retroscena e guardando al presente critica il suo successore Paolo Truzzu.

Com’è stato conquistare la fascia tricolore, dieci anni fa?

Ci siamo occupati da subito del futuro della città e non della critica rivolta al passato. Perché, tra primarie e due turni di voto, la campagna elettorale durò 6-7 mesi, consentendoci di elaborare strategie, idee e progetti. Quando siamo stati eletti avevamo già molte idee chiare sulla città. Un mese dopo l’insediamento, già a luglio 2011, ci siamo occupati del Poetto. A settembre c’era già il progetto preliminare.

La riqualificazione del litorale era in programma già da prima.

Il vecchio progetto non era compatibile con l’ambiente, facemmo un concorso di idee sulla progettazione per avere un piano che rispettasse tutte le regole e fosse innovativo. A dicembre del 2011 siamo andati a gara con un appalto integrato complesso: abbiamo consegnato il Poetto alla città con tempi inferiori rispetto alla media europea per gare dello stesso genere, nonostante un ricorso al Tar.

Gli operatori hanno dovuto tribolare un po’, smontando e rimontando i chioschi.

È stato un grande sacrificio, ma ne è valsa la pena: adesso è un parco per l’attività sportiva ma la riqualificazione ha permesso anche una crescita dell’occupazione.

Stavo per chiederle quale fosse l’intervento di cui è più soddisfatto, ma la risposta ora sembra scontata.

Il Poetto ha un grande valore simbolico. Era una sfida molto difficile, perché chi ci aveva messo mano in passato lo aveva distrutto con la sabbia nera. C’era molta preoccupazione, tutti speravano che non ci fossero altri danni. Ma adesso nessuno vorrebbe tornare indietro. Pensiamo anche a questa fase della pandemia, quanto sia stato utile per Cagliari  – in termini di qualità della vita – avere zone come il Poetto, aree verdi e pedonalizzazioni. Prima molti dicevano ‘Cagliari è bellissima, ma…’, ora con questi interventi si è recuperato l’orgoglio per la città: in molti usano, senza magari ricordare che fosse un nostro slogan, la definizione palestra a cielo aperto.

Qual è, invece, il più grande rammarico della sua esperienza da sindaco?

C’è una cosa, anche se prescindeva da noi, che avrebbe dato grande visibilità: l’essere inseriti come città della vela per le Olimpiadi. Grazie a Luna Rossa abbiamo avuto insediamenti  con ricadute e altre idee progettuali, ma eravamo stati inseriti come candidatura certa, sbaragliando tutte le altre città italiane, per competere con realtà come Marsiglia e Los Angeles. Poi la sindaca di Roma, Virginia Raggi, rinunciò alle Olimpiadi e resta un grande rammarico perché non sono treni che passano tutti i giorni. Ci sono ambiti dove le città possono migliorare e i progetti sono replicabili, ma le condizioni meteomarine che ci hanno portato a ottenere quel riconoscimento sono un valore tutto nostro: è un percorso da continuare.

Pensando allo sport e alle incompiute, le ricordo che trattò con Silvestrone per la cessione del Cagliari: più che una trattativa si rivelò una beffa.

Era una trappola e lo sapevo in anticipo.

Spieghi meglio come andò quella vicenda.

A distanza di anni, conservo ancora i messaggi di Giulini: prima dell’incontro con Silvestrone fu lui ad avvisarmi che non era assolutamente un personaggio affidabile. Mi rivelò anche che in realtà il Cagliari lo stava acquistando lui. Quella era solo una trappola: se non l’avessi incontrato la questione si sarebbe prolungata con mesi di tensioni. Ci tengo a ricordare che chi aveva accreditato Silvestrone era l’allora presidente del Cagliari, Massimo Cellino: era il Cagliari che lo accompagnava. Al termine della conferenza stampa mi rifiutati di fare le foto con una stretta di mano e gli dissi di mettere in campo progetti reali.

La vicenda si è poi chiusa con l’addio di Cellino e l’arrivo di Giulini, ma il Sant’Elia resta ancora un rudere.

Su questa questione la pandemia ha giocato un brutto scherzo, ma ho paura che se non si intervenga in tempo possano sorgere problemi.

Di che tipo?

Hanno stravolto il progetto, c’è una violazione delle delibere approvate in precedenza. Non capisco perché abbiano voluto modificare il progetto aggiungendo corpi estranei e pensando di creare anche nuovi uffici pubblici, quando ce ne sono in abbondanza. Se cambi in corso d’opera, con le vecchie delibere che non sono state ritirate, e se stravolgi il progetto prima che parta la gara sui lavori… rischi di complicare tutto. Mi auguro che tornino indietro su questa corbelleria e lo dico pensando alla città, al Cagliari e alla riqualificazione di Sant’Elia.

Avete fatto sparire la “legnaia” dall’Anfiteatro romano, ma dopo le tribune sono spariti anche gli spettacoli e i turisti.

C’era un serio problema di tutela del sito, mettemmo a correre i fondi per gli interventi perché rischiavamo di perderlo come sito archeologico. Ma, parallelamente, andammo avanti con la Soprintendenza per mantenerlo come sito per gli spettacoli, anche se con capienza ridotta. È un traguardo ancora molto lontano, ma anche il museo di Villa Borghese rimase chiuso per vent’anni. Nel frattempo rendemmo fruibili anche altri spazi, con interventi a Tuvixeddu – ora in parte visitabile – e all’Orto dei cappuccini.

Un’altra questione rimasta ferma nel tempo è l’arrivo in via Roma della metropolitana leggera. Un intervento annunciato più volte che solo ora, probabilmente, sta prendendo forma.

Nel 2016 dall’Arst mi dissero che i lavori stavano partendo, ora siamo nel 2021 e dicono che i lavori stanno partendo. Ricordo che sono finanziamenti dell’era Soru, quindi parliamo del periodo 2004-2009, e ancora non è partito nulla. Credo che all’Arst ci sia qualcosa che non va, forse negli uffici c’è un ingorgo.

Le sue dimissioni da sindaco hanno spianato la strada a Paolo Truzzu, vi sentite per parlare di Cagliari?

Mai, non ci sentiamo mai. Avevo ottimi rapporti di collaborazione coi sindaci precedenti, entrambi eletti per due mandati. Non ho mai attaccatto i miei predecessori, con Floris ero anche all’opposizione, ma non ho mai fatto una battaglia ideologica disconoscendo il loro operato. Anzi, riconosco i meriti a Delogu e Floris per scelte importanti come l’abbattimento del muro del porto, la riqualificazione del centro storico o la realizzazione della mediateca del Mediterraeo.

Come valuta l’operato del suo successore?

Ha smesso di attaccare orribili manifesti in giro ed è già una buona cosa. Non c’è un’idea, un progetto per la città. Salvo follie come scavare un tunnel sotto Castello oppure quello sottomarino in via Roma.

Bocciare quel tunnel fu uno dei suoi primi interventi.

Avremmo bloccato la città per almeno 15 anni cercando di portare avanrti un’opera irrealizzabile.

Ora che sta nell’altra istituzione di via Roma, continua a seguire la politica comunale?

Li seguo ma non intervengo, anche se sono molto tentato perchè c’è un livello di arroganza che forse sarebbe bene non avere: dovrebbero pensare alla città piuttosto che alla conflittualità quotidiana.

Anche nei suoi due mandati non sono mancate le tensioni con gli alleati, soprattutto col Pd.

Da noi c’era altro che ci teneva uniti, c’erano idee e progetti comuni. Se invece punti tutto sulla conflittualità col passato, te la ritrovi all’interno della tua stessa maggioranza e rimani vittima dei litigi. La politica deve dimostrare di volersi occupare delle persone e non del potere.

Meglio Solinas come presidente della Regione o Tuzzu come sindaco?

Delogu e Floris avevano autonomia rispetto ai governi regionali e nazionali anche dello stesso colore politico. Si possono non condividere le scelte, ma avevano indipendenza d’azione e un’idea di città, mentre Truzzu sembra succube di Solinas che, a sua volta, dipende dagli ordini provenienti dal nord Italia e non s’intravede minimamente quale sia la loro idea di città e di Regione. Tutto si riduce a scontri e litigi per il potere.

Da cagliaritano, che consiglio darebbe a Paolo Truzzu?

Avere come obiettivo la città e non il potere. Quando è il tuo unico obiettivo, finisci per perdere pure quello. I cittadini si lamentano e sono molto critici e, per la prima volta da quando c’è l’elezione diretta, c’è il rischio di non venire confermati. Cosa che, stando così le cose, mi auguro accada.

Marcello Zasso

 

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