“Se non cambia subito il Pd è morto”

Mario Bruno, classe 1965, vicepresidente del consiglio regionale sardo ed ex capogruppo del Pd, è tra quanti ritengono che il Partito democratico debba decidere, e rapidamente, se vuole continuare a esistere. Cattolico, attivo nel movimento dei focolarini, bancario, algherese, Bruno è l’autore del documento, fatto proprio dal partito, per la nascita di un Pd sardo federato con l’organizzazione nazionale. Ha già detto apertamente, dopo la vicenda del quirinale, che è stata tradita la missione originaria del Pd, dice oggi che in Sardegna è indispensabile andare a un congresso aperto prima dell’estate. Per introdurre subito “discontinuità”‘ e “freschezza”. L’alternativa è la fine.

A cosa si riferisce in particolare quando dice che il Pd ha tradito la sua missione?

“Al fatto che dovevamo essere il partito dei cittadini e non dei tesserati, mentre a volte siamo diventati una specie di società per azioni, dove le quote erano rappresentate dai pacchetti di tessere. Qua in Sardegna, poi, c’è stato un ulteriore tradimento: nell’ultimo anno abbiamo trascurato il percorso per arrivare la nascita di un Partito democratico sardo federato con quello nazionale. Se questo percorso fosse stato intrapreso, non avremmo avuto delle primarie per la scelta dei parlamentari il cui esito è poi stato disatteso…”

Ecco, ci aiuti a capire quella vicenda che è per certi aspetti incredibile: a un anno dalle elezioni regionali, mentre  un po’ ovunque ha ripreso a spirare il vento dell’autonomismo radicale e anche dell’indipendentismo, Roma impone le sue decisioni fino al punto di candidare un socialista pugliese, Lello di Gioia, in Sardegna. Decisioni quasi autolesionistiche…

“La spiegazione credo sia banale. C’era la convinzione di avere la vittoria in tasca e si riteneva che il vantaggio fosse così ampio da poter fare certe forzature”.

Nonostante la catastrofe, però, l’ipotesi più accreditata è che il congresso regionale si svolgerà in autunno.

“Sarebbe un errore perché un congresso svolto in quel periodo sarebbe condizionato dall’imminenza delle Regionali e i problemi del partito rischierebbero d’essere accantonati. Mentre è su questo che dobbiamo concentrarci oggi chiamando a raccolta non soltanto gli iscritti, ma tutti i cittadini che credono nella possibilità di un vero rinnovamento. Siamo, per il Pd, all’ultimo appello. O cambiamo, con l’ingresso di una nuova classe dirigente, con l’elaborazione di un progetto credibile per la Sardegna, o rischiamo di scomparire.”.

Le ragioni che nella sua analisi sconsigliano un congresso in autunno sono le stesse, inespresse ma chiare, di chi lo vuole in quella stagione. Proprio per evitare di parlare troppo del partito e delle responsabilità dei suoi dirigenti.

“Non si può più ragionare in questo modo, non si può dare l’idea che il problema sia la pura e semplice occupazione del potere, e spero che tutti ormai ne siano consapevoli. Ci vuole coraggio e generosità da parte dei vertici, se no, ripeto, il Pd muore. Dobbiamo dare subito delle risposte , dobbiamo dire ai sardi cosa vogliamo fare per il lavoro, per l’ambiente, per la scuola, per i giovani. Non partiamo da zero, è stato svolto un ampio lavoro sul programma, ma non è stato portato a sintesi. Per questo è necessario fare il congresso al più presto. Poi, con una nuova dirigenza, ci si può mettere al lavoro per le primarie e la designazione del candidato governatore”.

Ecco, a proposito del governatore. Prima delle Politiche la competizione appariva più serrata, ora sembra un po’ spenta. Non sarà ancora una volta per la disillusione della “vittoria in tasca”. In effetti anche rispetto alla Sardegna c’era questa idea, mentre ora si sa che il rischio della sconfitta è serio.

“Certamente oggi nessuno pensa più di avere la vittoria in tasca. Ma il Pd ha sempre una grande responsabilità perché è un partito radicato nel territorio, ha amministratori locali vicini ai cittadini, che ne conoscono i problemi. Non tutto è da buttare. Anzi. In questi nove anni ho sperimentato personalmente l’efficacia di un lavoro costante insieme ai cittadini, iscritti e non al partito, capaci di instaurare davvero un metodo partecipativo, con scuole di formazione per giovani, seminari, convegni, dibattiti. Nasce anche da questo rapporto vivo con i cittadini la possibilità di rinnovare la politica.Il Pd ha competenze e idealità dalle quali può scaturire una nuova classe dirigente e non può lasciare il governo della Sardegna a degli improvvisatori”.

Non pensa che l’affermazione del Movimento 5 Stelle renda quasi obbligatoria la scelta di un candidato-governatore non di apparato?

“Se intende chiedermi se è possibile che si arrivi alla  candidatura di un esterno, le rispondo che certo, è possibile. Dovrebbe trattarsi di una figura capace di coinvolgere tutto il partito e rappresentare quel che si muove nella società. Può essere che si arrivi a questo. Di certo è un percorso nel quale è indispensabile il lavoro di raccordo di quanti hanno già lavorato nelle istituzioni”.

Le novità in campo nazionale di Sel all’opposizione potrebbe creare qua ulteriori problemi…

“Non credo. Perché, proprio nella prospettiva del partito federato, dobbaimo basarci su quando è accaduto qua in questi anni e non fare riferimento alla situazione, tra l’altro assolutamente eccezionale, di Roma. Penso che se lavoriamo da subito con impegno ci saranno le condizioni perché il Pd alle Regionali guidi una coalizione di centrosinistra…”

Lei ha già due legislature sulle spalle. Ha rifiutato, suscitando non poche polemiche, la candidatura a sindaco di Alghero ed è stato indicato tra i nomi possibili per la carica di governatore…

“Non mi piacciono le autocandidature e non le ho mai praticate. Mi sorprende sempre sentire il mio nome per incarichi di responsabilità, come è avvenuto per il ruolo di capogruppo e di vicepresidente del Consiglio. Cerco di vivere la politica con passione, con generosità, ma anche con la consapevolezza dei miei limiti. Al di là della mia persona, sono convinto che il nostro candidato debba essere uno che ha tra le sue doti quella di saper unire, di saper condividere le scelte, di saper lavorare in squadra e di essere molto concreto”.

Un’ultima curiosità. Che coincide col dubbio radicale di molti, elettori ma anche dirigenti, che sono ormai sulla soglia e non hanno ancora lasciato il Pd perché non vedono ancora nulla di concreto all’esterno. Ma si può stare in un partito dove, secondo lo stesso segretario nazionale, un parlamentare su quattro è un “traditore”?

“E’ questo il problema. Ma chi usa certi metodi deve rendersi conto che così facendo si ottiene semplicemente il risultato di fare scomparire il partito. Dovrebbe essere un buon argomento dissuasivo. Ripeto: non ci sono alternative diverse da questa: o capovolgiamo totalmente il metodo aprendoci ai cittadini, parlando di idee, progetti, e non di tessere, o è finita”.

Giovanni Maria Bellu

 

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