Regionali, scatta il silenzio elettorale: rischio violazioni sui social network

È scattato a mezzanotte il silenzio elettorale, che durerà per tutta la giornata di oggi e quella di domani sino alla chiusura delle urne (alle 22 di domenica 24). Due giorni in cui – secondo la legge – candidati, partiti, leader, ministri non possono esprimere nemmeno una parola sulle consultazioni imminenti. È bandita ogni forma di propaganda, dai comizi alle trasmissioni radiotelevisive, comprese altre forme di comunicazione politica nel raggio di 200 metri dai seggi elettorali nel giorno del voto. Obiettivo: permettere ai cittadini di poter decidere con più serenità a chi dare la propria preferenza.

Ma ai tempi dei social network è sempre più complicato regolarsi con una legge nata negli anni in cui di internet e dei social non si aveva nemmeno una prospettiva lontana. Così puntualmente, a ogni tornata elettorale negli ultimi anni, c’è sempre qualcuno che – a volte con malizia, altre per superficialità – si lascia andare a fiumi di parole affidate ai social che viaggiano indisturbate nel mondo del web. L’ultimo caso è quello del vice premier Matteo Salvini, che poche settimane fa per le elezioni in Abruzzo, ha invitato con un tweet i cittadini ad andare a votare per il suo partito.

Il problema è che la legge sul silenzio elettorale risale al 1956 (“Norme per la disciplina della propaganda elettorale”, legge numero 212 del 4 aprile), poi modificata nel 1975 e precisata ulteriormente nel 1985, e ovviamente non contiene alcun riferimento alle piattaforme social. L’articolo 9 della norma in questione stabilisce che “nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda. Nei  giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda  elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali”. Nel 1985 si introdussero le emittenti radio e tv: “Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni è fatto divieto anche alle emittenti radiotelevisive private di diffondere propaganda elettorale”. L’organo deputato ai controlli e alle sanzioni è proprio il ministero dell’Interno, e in particolare la direzione centrale dei servizi elettorali.

La questione di internet e dei social network è stata posta per la prima volta lo scorso anno per le Politiche, che hanno portato alla formazione del governo giallo-verde. In quel caso fu l’Agcom (l’Autorità garante per le comunicazioni) a delineare dei paletti da applicare anche ai social. “La normativa vigente vieta di fatto ogni forma di propaganda elettorale (in tv e attraverso comizi pubblici) nel giorno del voto e in quello precedente. Sarebbe pertanto auspicabile che anche sulle piattaforme in questi due giorni fosse evitata, da parte dei soggetti politici, ogni forma di propaganda, per evitare di influenzare con pressioni indebite l’elettorato ancora indeciso”. L’Agcom dedica attenzione anche alle ‘fake news’ (false notizie) e alla probabilità che queste possano influenzare il voto, e invita a una rigorosa attività di controllo e verifica (cosiddetto ‘fact checking’).

Oggi e domani, dunque, nessuno dovrebbe far girare messaggi, video, spot e post propagandistici. Fondamentali invece, e promosse dalla Regione e dal ministero, le informazioni sulle istruzioni di voto (clicca sull’immagine accanto per ingrandire) diffuse anche attraverso la programmazione degli spot istituzionali in tv.

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A questo giro la novità fondamentale, introdotta per la prima volta nelle consultazioni regionali, è il meccanismo della doppia preferenza di genere, nata per favorire l’inserimento nelle liste e il voto delle donne. L’arma, però, può essere a doppio taglio se non si comprende bene la modalità di voto: gli elettori potranno esprimere sino a due voti di preferenza per i candidati consiglieri nelle liste circoscrizionali, a patto che siano di genere diverso (uomo e donna) e che appartengano alla stessa lista. Diverso è il caso del voto disgiunto (da non confondere) che consente di votare il candidato presidente di una lista (o una coalizione) diversa rispetto al partito o al consigliere regionale a cui si dà la preferenza.

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L’ordine dei nomi sulla scheda è stato sorteggiato nelle scorse settimane. Il nome del primo candidato alla presidenza della Regione, pubblicato nella prima colonna in alto a sinistra, è quello di Francesco Desogus del Movimento 5 stelle. Al secondo posto, nella stessa colonna, Christian Solinas per la coalizione di centrodestra con le sue 11 liste: Sardegna Civica, Energie per l’Italia, Fortza Paris, Uds, Sardegna 20Venti, Partito sardo d’Azione, Riformatori, Udc, Lega, Fdi e Forza Italia. Nella colonna centrale il primo nome che compare è quello di Vindice Lecis (Sinistra sarda), seguito da Massimo Zedda, portabandiera della coalizione dei Progressisti con le sue 8 liste: Campo Progressista, Pd, Noi la Sardegna, Cristiano Popolari socialisti, Progetto Comunista per la Sardegna, Futuro Comune, Sardegna in Comune, Leu. Nella colonna di destra ci sono i candidati presidenti Paolo Maninchedda (Partito dei sardi), Mauro Pili (Sardi liberi) e Andrea Murgia (Autodeterminatzione).

Clicca qui per lo ‘Speciale elezioni di Sardinia Post con tutti i candidati al Consiglio nelle ventiquattro liste che si presentano alle urne.

Marzia Piga

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