Valentina Sanna: “Presiedo il Pd sardo, un partito mai nato”

“Un congresso prima dell’estate, un congresso aperto, non un congresso ‘delle tessere’. Perché è il momento di fare il Partito democratico”.

La questione del Pd mai nato, ancora da fondare, da fare, è ormai entrata stabilmente nel dibattito politico. Certo sorprende che ad affermare la necessità di far nascere finalmente il Pd sia la presidente del’assemblea regionale del Pd medesimo. Eppure è proprio così: Valentina Sanna, 44 anni, libera professionista nel campo della grafica, presidente dei democratici sardi dal 2009, parla della situazione del suo partito con i toni preoccupati e sconcertati di tanti militanti ed elettori che non accettano l’accordo con Berlusconi. E nemmeno accettano l’esistenza, nel partito, di un altro partito – quasi una setta segreta – che è stato in grado di fingere l’unanimità attorno al nome di Romano Prodi e poi di arrestarne l’ascesa al Quirinale con 101 franchi tiratori.

Valentina Sanna presiede il Pd sardo dal novembre del 2009. Una carica onorifica, non retribuita in alcun modo. Ha cominciato a fare politica nel 2003, è stata segretario provinciale della Margherita e fino a qualche mese fa – quando si è opposta alla sua candidatura alle ‘parlamentarie’- ha fatto parte della componente di uno dei più potenti ‘capibastone’ isolani, Paolo Fadda. Una collocazione che non le ha semplificato la vita politica. Specialmente quando, col cambio delle alleanze interne, si è trovata a essere un presidente di minoranza. Riuscendo a respingere il tentativo di introdurre nello Statuto una norma – inesistente in campo nazionale – che avrebbe consentito di sfiduciarla.

Era l’aprile 2012 e le elezioni Politiche erano ritenute prossime. Fu così che la maggioranza interna propose una modifica delle regole statutarie sul numero massimo di legislature oltre il quale doveva essere decretata la non candidabilità. Un regolamento ‘contra personam’. Cioè contro Fadda. Lei negò la convocazione dell’assemblea regionale sottolineando che lo statuto del Pd sardo non poteva essere modificato per una ragione insuperabile: non esisteva. Era stato infatti bloccato dalla commissione nazionale di garanzia.

Uno dei tanti pasticci che hanno punteggiato la vita travagliata del Pd nell’Isola. E che si è concluso nel nulla. Quel braccio di
ferro col segretario Silvio Lai fu superato per inerzia. Non se ne parlò più. Poi arrivarono le primarie per la scelta del premier (come tutti i dirigenti sardi, Valentina Sanna ha sostenuto Pier Luigi Bersani) e le ‘parlamentarie’ poi stravolte dalle decisioni di Roma.

“Anche questa vicenda – dice – è stata gestita con molta opacità da chi si era impegnato in direzione regionale a difendere la volontà degli elettori delle primarie e la dignità del partito. Di fronte all’indisponibilità dei dirigenti nazionali, ho convocato l’assemblea con la quale si sarebbe potuto fare più pressione a Roma. Tranne qualche presenza, pur autorevole (tra questi Arturo Parisi) tutti hanno disertato, dietro la promessa di una “compensazione” all’indomani della vittoria certa. Sappiamo come è andata. E alcune candidature non proprio conquistate sul campo sono state salvaguardate”.

A quando fa risalire l’inizio della catastrofe del Partito democratico?

“E’ difficile trovare un momento iniziale. Forse non c’è stato nemmeno. Nel senso che si è sempre proceduto così, parlando tra noi  senza confrontarci con la gente. Quando dico che il partito non è mai nato, intendo sostanzialmente questo… Ho sostenuto Bersani dicendo contemporaneamente che tutti dovevamo aiutarlo a realizzare un vero rinnovamento. Ma quando si è arrivati alle candidature per le Politiche nessuno si è tirato indietro… E’ stata questa la ragione per cui ho detto a Paolo Fadda che non l’avrei sostenuto”.

E ha lasciato quella componente. Per fare cosa?

“Certamente non per passare a un’altra componente. Guardi che il problema del Pd è proprio questo, in campo nazionale come in Sardegna. Il confronto è chiuso, circoscritto a quelli che voi chiamate ‘capi bastone’, con un coinvolgimento debole ed episodico della base. i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la gente non ci capisce più”.

Un attimo fa, mentre parlavamo, è arrivata la convocazione della direzione regionale. Si terrà venerdì prossimo. Cosa prevede?

“Immagino che il segretario Silvio Lai spiegherà le ragioni della nascita del governo Letta, dirà che non c’erano alternative…”

E secondo lei invece c’erano?

“Francamente io avrei sostenuto da subito Stefano Rodotà. Adesso dicono che non avrebbe avuto i voti. Chissà, può darsi. Il punto è che di Rodotà non abbiamo proprio discusso, come se il fatto solo di parlarne fosse un cedimento al Movimento 5 Stelle. Ma poi abbiamo fatto l’alleanza col Pdl. Questo buona parte dei nostri elettori proprio non lo capisce. Tornando alla sua domanda, credo che il governo di Enrico Letta sia l’epilogo di un copione scritto all’indomani delle elezioni da chi ha considerato da subito l’alleanza con Berlusconi e Monti l’unica opzione per garantire la sopravvivenza della vecchia classe politica. In questo senso, la riconferma di GiorgioNapolitano ha consentito il compimento di un disegno di restaurazione.Il problema è come e perché si è arrivati a quel punto. E’ chiaro che  i 101 parlamentari dei quali non si conosce l’identità gettano un’ombra pesantissima su un partito che deve recuperare credibilità di fronte ai cittadini disorientati e delusi”

Secondo lei cosa si dovrebbe fare adesso?

“In Sardegna bisognerebbe fare al più presto il congresso regionale. Un congresso aperto. quando dico ‘aperto’ non penso ovviamente a un congresso al quale partecipa chiunque, ma a qualcosa che segua lo schema delle ‘primarie aperte’. Dove anche gli elettori abbiano voce in capitolo”.

Pensa che sia possibile?

“Non sono molto ottimista. Perchéè molto forte la spinta a fare un ‘congresso delle tessere’. E a farlo dopo l’estate”.

Cioè quando si sarà alla vigilia della campagna elettorale per le Regionali e cominceranno a essere lanciati gli appelli al ‘serrare le file’, ‘stare uniti’ etc?

“Si, potrebbe succedere questo. E il congresso regionale potrebbe anche svolgersi in concomitanza con quello nazionale. Sarebbe un ulteriore problema…

Perché?

“Perché ci troveremmo a ragionare in base all’appartenenza alle componenti nazionali, perdendo di vista la necessità di creare un partito sardo autonomo e federato. Credo che sia questa la vera strada: tornare tra la gente, tra i sardi, ascoltarli farci carico dei loro problemi, dare risposte, formare una nuova classe dirigente attraverso questo percorso”.

E se non succederà?

“Voglio essere franca: non mi sono ancora rassegnata all’idea che il Partito democratico non possa nascere. Voglio tentarle tutte. Certo, se vedrò che la classe dirigente intende proseguire con ostinazione con i vecchi metodi bisognerà trarne le conseguenze. Ma prima di quel momento, che spero non arrivi, voglio fare il possibile perché una classe dirigente che ha fallito risponda con la base del suo operato”.

Giovanni Maria Bellu

 

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