La Sardegna, Cossiga e il biliardo di Giulio Andreotti

Giulio Andreotti da ministro e da presidente del Consiglio è stato in Sardegna parecchie volte. L’ultima nel 2007 quando, accogliendo le sollecitazioni del suo storico proconsole isolano Eusebio Baghino, allora candidato sindaco e impegnato nella campagna elettorale, arrivò a Sant’Antioco, visitò il museo archeologico, partecipò a un pranzo elettorale e poi tornò a Roma.

Aveva 88 anni ed era in ottima forma. Ironico come sempre. Quando gli chiesero cosa ne pensasse della situazione politica, rispose: “Siamo entrati nella politica botanica: quercia, ulivo, cespugli vari”. Lui era già fuori dai giochi nei quali era stato senza interruzione nei precedenti sessant’anni, ormai consapevole d’essere un pezzo di storia, quasi come i reperti del museo fenicio-punico che visitò con interesse, soffermandosi davanti alla vetrina degli amuleti portafortuna.

Ad accoglierlo c’erano le autorità locali – tra le quali “in veste istituzionale” il presidente della provincia Tore Cherchi che gli regalò una lampada da minatore – e l’altro suo proconsole sardo, l’ex sindaco di Cagliari Michele Di Martino. Una rimpatriata per gli ex potentissimi andreottiani sardi che ricordavano con nostalgia i bei tempi della Democrazia cristiana imperante. Quando si diceva – come ricordò un altro ex dc di peso, Giorgio Oppi – che in tutti i governi nazionali guidati da Andreotti c’era un ministro “di fatto” sardo, Eusebio baghino, appunto.

Ma i legami di Andreotti con la Sardegna, visite istituzionali a parte, erano ben più remoti e profondi. In parte misteriosi, in coerenza con la biografia del personaggio. Alla fine degli anni Cinquanta, a Sud di Alghero, precisamente a Capo Marrargiu, nell’allora neonata segretissima base della “rete Gladio”, arrivò un ingombrante omaggio: un biliardo. I ‘gladiatori’ (cioè i militari che facevano parte della struttura) lo gradirono particolarmente. E furono grati al donatore. Il cui nome compariva in una piccola targa di metallo: “Omaggio dell’onorevole Giulio Andreotti”.

La cosa sarebbe finita lì se molti anni dopo, all’inizio degli anni Novanta, il “caso Gladio” non fosse esploso nel mondo politico italiano creando un conflitto feroce proprio tra Andreotti, allora presidente del Consiglio, e il sardo Francesco Cossiga, presidente della Repubblica. Il quale vide nello svelamento dell’esistenza della struttura Gladio, voluto proprio da Andreotti, un tentativo di fargli le scarpe e obbligarlo alle dimissioni. Cossiga, infatti, di Gladio era stato uno dei principali fautori.

Fu aperta un’inchiesta parlamentare nel corso della quale un ex capo dei servizi segreti raccontò che nel 1973 a Capo Marrargiu era arrivato uno stranissimo ordine: rimuovere dal biliardo la targhetta col nome di Andreotti. Perché? Nessuno fu in grado di dare una spiegazione. Ma i maligni sostennero che Andreotti, con grande anticipo rispetto a tutti gli altri, aveva capito che la struttura Gladio poteva diventare molto imbarazzante. Erano gli anni delle stragi, della strategia della tensione. E le indagini della magistratura avevano individuato, dietro le organizzazioni neofasciste, una struttura para-istituzionale, formata da militari e civili. Molto simile a quella che negli anni Novanta l’Italia avrebbe appunto conosciuto come ‘rete Gladio’.

La cosa comunque finì lì. Cossiga e Andreotti stabilirono una sorta di pace armata, sancita dalla nomina  del “Divo Giulio”  (come lo chiamava il giornalista Mino Pecorelli, del cui omicidio Andreotti fu accusato e poi assolto) a senatore a vita. Ben altre nuvole si stavano addensando sul capo di Andreotti: quelle palermitane nate con la testimonianza del pentito Buscetta sui suoi rapporti con “Cosa Nostra”.

Nicolò Businco

 

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