ARCHIVIO. La riforma degli Enti locali è legge: cancellate le quattro nuove Province

Entro il 31 dicembre quattro commissari devono liquidare il Sulcis, il Medio Campidano, la Gallura e l’Ogliastra.

La Sardegna torna allo schema delle quattro Province, dopo averne avute otto per quattordici anni: con un voto a maggioranza (29 sì e 17 no), il Consiglio regionale approva la riforma degli Enti locali che, su tutto, cancella il Sulcis, il Medio Campidano, l’Ogliastra e la Gallura. I quattro nuovi enti erano stati istituiti nel 2001, con la legge 9: quattro anni più tardi, a maggio 2015, le prime elezioni territoriali per la scelta delle Assemblee provinciali.

La procedura di soppressione, che adegua l’Isola al referendum abrogativo di maggio 2012, si articola in diversi passaggi. Si comincerà tra quindici giorni, quando la Giunta dovrà nominare i commissari straordinari, i quali avranno tempo sino al 31 dicembre 2016 per cancellare le quattro nuove Province. Tecnicamente si tratterà di spostare le competenze dagli enti intermedi da eliminare verso quelli storici che restano in piedi. O verso le Unioni dei Comuni.

Questo perché esiste una differenza tra poteri provinciali fondamentali e competenze secondarie: nel primo caso ci si riferisce alla gestione di scuole, ambiente e strade che passeranno alle vecchie Province di riferimento. Cioè l’ente di Cagliari per il Sulcis e il Medio Campidano, quello di Nuoro per l’Ogliastra, Sassari per la Gallura. Invece: turismo, protezione civile, agricoltura, sport, beni culturali, industria, energie, istruzione e lingua e cultura sarda che rientrano tra le funzioni secondarie – finiranno in capo alle Unioni dei Comuni.

I nuovi commissari, tuttavia, verranno nominati anche nelle Province storiche, a cominciare da quella di Cagliari che cambierà nome e si chiamerà Sud Sardegna. Ovviamente non ne faranno parte i 17 Comuni della Città metropolitana: e oltre al capoluogo ecco Assemini, Capoterra, Elmas, Monserrato, Quartu Sant’Elena, Quartucciu, Selargius, Sestu, Decimomannu, Maracalagonis, Pula, Sarroch, Settimo San Pietro, Sinnai, Villa San Pietro e Uta.

La riforma degli Enti locali prepara l’organizzazione del dopo Province, anche in relazione alla definitiva cancellazione degli enti intermedi prevista col ddl Boschi: il Parlamento l’ha già convertito in legge un mese fa, ma il testo deve  superare l’ostacolo del referendum nazionale confermativo, previsto a ottobre. E nel caso in cui dovesse vincere il Sì, tutte le Province italiane, quindi comprese quelle sarde, saranno derubricate a enti di secondo livello, ovvero verranno gestite dagli amministratori dei Comuni e non più da organi elettivi.

Il testo approvato oggi dal Consiglio regionale sardo impone anche l’obbligo di associarsi in Unioni dei Comuni: in Sardegna, attualmente, se ne contano 38 (di cui 3 sotto i 10mila abitanti) più cinque Comunità montane che hanno valore equipollente e devono solo cambiare nome. Ci sono però una quindicina di enti locali che non sono mai entrate in alcuna Unione, invece dovranno farlo.

Dall’obbligo di formare un’Unione sono dispensati Olbia, Nuoro e Oristano, riconosciute dalla riforma come Città medie, cioè centri con una popolazione di almeno 30mila abitanti. Sulla carta, in questa topologia rientrano anche Quartu e Alghero: ma la prima farà parte della Città metropolitana di Cagliari, mentre la seconda entrerà della Rete metropolitana di Sassari.

E a proposito del Nord-ovest Sardegna, la soluzione della Rete è stata trovata dalla maggioranza di centrosinistra per accontentare il Sassarese che non ne voleva sapere di avere un ruolo di Cenerentola rispetto a Cagliari.

Tecnicamente la Rete è un’Unione dei Comuni potenziata, ma con un emendamento all’articolo 8, il Nord-ovest ha ottenuto l’equiparazione alla “Città metropolitana sia “ai fini dell’assegnazione di risorse statali o europee”, sia “nell’esercizio delle funzioni di promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale”. Oltre a Sassari, aderiranno Alghero, Porto Torres, Sorso, Sennori, Stintino e Castelsardo.

Nello schema della riforma c’è poi la Rete urbana, pensata per accontentare Carbonia e Iglesias che hanno meno di 30mila abitanti e non rientrano nelle Città medie. Ma se unito il Sulcis può raggiungere quel bacino di 50mila nell’ottica di un riconoscimento economico a sostegno della crescita.

E se i commissari della quattro Province da cancellare potranno gestire solo l’ordinaria amministrazione, negli enti intermedi storici e nella Città metropolitana di Cagliari si potrà procedere anche con nuove assunzioni. Per questo avranno tre mesi di tempo per approvare le piante organiche, per poi bandire concorso per “coprire i posti vacanti”, prevedendo però “un 40 per cento di posti per coloro che hanno maturato un numero minimo di tre anni di lavoro nelle Province, anche non continuativi”, si legge nell’articolo di fatto dedicato alla stabilizzazione dei precari.

Con l’approvazione di oggi, il centrosinistra sardo mette il sigillo alla più sofferta riforma della legislatura: era gennaio 2015 quando la giunta di Francesco Pigliaru, su proposta dell’assessore Cristiano Erriu, aveva approvato il ddl. La commissione Riforme del Consiglio regionale cominciò l’esame del testo due mesi dopo, a marzo. Da allora decine di incontri, con gli amministratori locali e una marea di proposte al rialzo, tra cui la Provincia Tirrenica e le Mini città metropolitane. Ma soprattutto tante guerre che hanno spaccato la maggioranza, fino al voto di questa mattina che in Sardegna fa cominciare l’era del dopo Province.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

LEGGI ANCHE: Province cancellate, Erriu: “Il futuro lo decidono Comuni e Regione”

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