Il Governo: “Chiudere i poligoni? Scordatevelo”

Una Sardegna smilitarizzata non è nei progetti del Governo. A dichiararlo, in questa intervista a Sardinia Post, il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi.

Tredici domande e una certezza: una Sardegna smilitarizzata non è nei progetti del governo di Matteo Renzi. “La chiusura totale dei poligoni – dice il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, la quota Popolari per l’Italia a Palazzo Chigi – mi sembra un’ipotesi improbabile”. Rossi, classe ’51, generale dell’Esercito entrato nell’Esecutivo dopo l’elezione a deputato con le Politiche del 2013, contesta il presidente Francesco Pigliaru su un aspetto: “Non sono corretti i dati secondo i quali la Sardegna ospita il 65 per cento delle servitù militari italiane”.

Onorevole Rossi, 30mila ettari e 80 chilometri di coste interdetti: questo è il prezzo che la Sardegna paga per la Difesa italiana ospitando il 60 per cento di tutte le servitù nazionali. Non le sembra un po’ troppo?

Le situazioni vanno interpretate in relazione a vari fattori delle singole Regioni, come estensione e demografia. Proprio per chiarire il quadro in modo comparato ed esaustivo e per evitare di dare il via ad uno sterile confronto sui numeri che alimenta la confusione anziché un serio dibattito, la Difesa voleva inserire nel Protocollo di intesa, da firmare nella “conferenza sulle servitù militari” del giugno scorso, proprio un tavolo tecnico ad hoc. I dati che sarebbero emersi avrebbero rappresentato la base dalla quale far partire tutte le azioni di coordinamento e collaborazione.

In un’intervista su Radio Anch’io, Lei ha espresso la volontà di trattare con la Regione per la riduzione delle aree militari. Ha già idea di quanto si possa tagliare nell’immediato?

Faccio riferimento a quanto già dichiarato in passato dal Ministro della Difesa che, facendo proprie le parole del Presidente Pigliaru in occasione della 2° Conferenza Nazionale sulle Servitù militari, ha affermato che è giusto parlare di riequilibrio delle servitù nazionali. Per far questo abbiamo firmato un protocollo di intesa con la Conferenza delle Regioni, con la Puglia e con il Friuli Venezia Giulia e apriremo, mi auguro nel breve, un tavolo tecnico con la Regione Sardegna. Compatibilmente con le primarie esigenze della Difesa nazionale cercheremo di razionalizzare la presenza militare tendendo ad un vero cambiamento. Ciò non significa distruggere quello che oggi esiste, ovvero la presenza militare sull’Isola con tutto il suo indotto. In questo senso si potrebbe citare il caso de La Maddalena, dove la partenza dei militari Usa ha segnato un ulteriore impoverimento. Il vero cambiamento  è iniziare a credere in quella che per molti – ma sicuramente non per la Difesa –  è oggi solo un’utopia, ovvero forme di collaborazione tra la popolazione sarda e la Difesa per fare della presenza militare un’opportunità di crescita e non un limite.

La Sardegna può sperare in una chiusura totale dei poligoni?

Le Forze Armate di qualsiasi Paese hanno senso di esistere solo se pronte ad assolvere i compiti a loro affidati. A tal fine devono essere addestrate e ciò deve essere garantito anche per la sicurezza del personale. La situazione attuale potrebbe variare in funzione della riduzione delle Forze Armate, dell’acquisizione di moderni impianti di simulazione e dei rapporti internazionali. Ma sicuramente le Forze Armate avranno bisogno di aree addestrative in cui svolgere attività “a fuoco”. Seppure in questo contesto di possibile evoluzione, una ipotesi di chiusura totale dei poligoni mi sembra improbabile. Peraltro, occorre anche sottolineare come la Difesa rappresenti anche una risorsa per la Sardegna: sia in termini di ricadute economiche, ma soprattutto sociali con un forte coesione storica con il territorio. Cito ad esempio la Brigata Sassari. Eliminare tutte le aree addestrative comporterebbe lo spostamento dei reparti, essendo tali aree fondamentali per il funzionamento dello strumento militare. Qualcuno definisce questi concetti un ricatto occupazionale nei confronti della Sardegna, ma è invece logico che le drastiche riduzioni di bilancio le forze armate non possono che tendere a spostare i propri reparti nelle vicinanze dei poligoni dove il personale si può addestrare.

Nella stessa intervista, Lei ha negato che il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, non avesse firmato il protocollo d’intesa che lo scorso giugno ha chiuso la Conferenza nazionale sulle servitù. Per quale ragione la sua reticenza nell’ammettere che il governatore sardo abbia dichiarato “irricevibile” la proposta, come lo stesso Pigliaru ha affermato in più di una occasione?

La domanda mi offre la possibilità di ribadire nuovamente come il problema non sia la mancata firma di un protocollo d’intesa, ma la volontà di avviare un percorso di collaborazione possibile. In tal senso la mancata firma del protocollo di intesa non ha rappresentato la chiusura tra due assetti fra l’altro Istituzionali ma, attraverso gli specifici aspetti rappresentati, il punto di partenza per un percorso mi auguro comune.

Il tavolo Stato-Regione per il proseguo del confronto è già convocato?

Si sta lavorando con la Regione e auspico veramente che al più presto si possa tornare a parlare di fatti e di progetti di sviluppo lasciando decadere sterili polemiche, molto spesso più mediatiche che reali.

Lei ha promesso l’istituzione di un Osservatorio permanente sul monitoraggio ambientale: i tempi quali sono?

L’osservatorio permanente è una delle richieste della Regione Sardegna, e ha trovato la piena disponibilità della Difesa. Difatti, rappresenta uno dei punti chiave del Protocollo di Intesa che avrebbe dovuto dare concretezza al progetto e quindi una data di partenza e le modalità di esecuzione. In merito a chi affidare il monitoraggio, sono convinto che si tratterà di un organismo terzo e indipendente, lontano da ogni condizionamento possibile. Spero, ribadisco, che parta quanto prima, abbiamo bisogno di far chiarezza sul discorso ambientale tanto quanto ce n’è chiesta dagli amministratori locali e dalla popolazione.

Per garantire che la terzietà del monitoraggio a chi l’affiderà l’Osservatorio?

Lo definiremo al tavolo di confronto

Avvierà uno studio serio per scoprire quale relazione esiste tra presenza dei poligoni e l’incidenza dei tumori?

Sono già in atto da parte dello Stato attenti controlli sul personale, sulle procedure e sul materiale utilizzato. È interesse di questa Amministrazione fare quanto possibile per la salvaguardia dei cittadini. Ricordiamo che i maggiori utilizzatori dei poligoni sono proprio i militari. La narrativa riguardo questa problematica è molto ampia e interessa a vario titolo tutti noi. Negli anni si è vissuta una presa di coscienza della problematica che ha determinato una attenzione sempre maggiore agli aspetti ambientali. La normativa si è evoluta di conseguenza e oggi riconosce attenzioni e indennizzi a uno ampio spettro di persone che hanno subito un danno: allo stesso tempo sanziona in modo severo chi non si adegua al rispetto della legge. Questo ha interessato il settore militare, quello industriale e la società tutta.

Quanto ci vorrà per istituire i presidi antincendio in ogni poligono sardo?

Le Forze armate interessate hanno da sempre operato in presenza di un servizio antincendio. È chiaro che quando questo non risulta soddisfacente, si verificano le cause e si mettono in opera i necessari accorgimenti. Ciò anche se sono convinto che quanto accaduto nel Poligono di Capo Frasca sia accidentale.

I costi dell’Osservatorio ambientale e dei presidi antincendio saranno a carico dello Stato?

Sono elementi tecnici da definire al tavolo di confronto.

In un Consiglio regionale convocato in seduta straordinaria lo scorso 9 settembre, il presidente Pigliaru ha fatto sapere che la Difesa italiana prende soldi dai Paesi che fanno esercitare in Italia le proprie aviazioni. Quanto è l’ammontare del business che ruota intorno alle aree militari della Sardegna?

Così come l’Italia ha oneri da sostenere quando opera presso altre nazioni della Nato, ugualmente chi viene ad addestrarsi in Italia, e non solo in Sardegna, sostiene degli oneri che sono regolati da intese tecniche tra i Paesi. Riguardo la Sardegna, in quanto Regione a Statuto speciale, penso sia opportuno sottolineare che lo Stato riconosce un ulteriore contributo finanziario pari a circa 3 milioni di euro all’anno da spendere in progetti con finalità sociali. Tutte le altre Regioni ordinarie non beneficiano di questo tipo d’indennizzo, nonostante anche sui loro territori vengono svolte attività addestrative.

Se Lei e il Governo ritenete che alcuni degli insediamenti militari presenti in Sardegna siano indispensabili per la sicurezza nazionale, avete pensato di aumentare in maniera consistente gli indennizzi a favore della Regione?

Credo sia logico che il riequilibrio degli indennizzi debba basarsi su dati certi, scientifici e razionali, e ovviamente essere scevro da strumentalizzazioni ideologiche. Secondo dichiarazioni apparse sul sito della Regione Sardegna, “il 65 per cento delle servitù militari nazionali grava sulla Sardegna”. Non si ha contezza di come si sia arrivati a questo dato però, come pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 247 del 21 ottobre 2010, alla Regione Sardegna è riconosciuto ufficialmente circa il 68 per cento degli indennizzi, su media ponderata, dovuti alle sole cinque Regioni a statuto speciale. È chiaro che il computo fatto con tutte le altre Regioni determina percentuali ben diverse e sicuramente più basse del 65 per cento dichiarato.

La Giunta Pigliaru girerà al ministero della Difesa i costi sostenuti per spegnere i due incendi scoppiati il 3 e 4 settembre nel poligono di Capo Frasca. Pagherete o aprirete un contenzioso?

Non abbiamo preclusioni di principio. In ogni caso, è evidente che la Difesa non è contraria ad una compensazione in presenza di situazioni penalizzanti che possono essere analizzate congiuntamente al tavolo di confronto.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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