Acque agitate nel Psd’Az. E Columbu si appella agli indipendentisti: “Uniamoci”

Acque agitate nel Psd’Az, a sentire il presidente Giovanni Columbu che non nasconde le divergenze nel partito e lancia un appello “all’unità di tutti gli indipendentisti sardi”.

“Ritrovare gli ideali e i sentimenti unificanti del sardismo e dare soluzione a una lunga storia di divisioni”. Giovanni Columbu, il regista prestato alla politica, attuale presidente del Psd’Az, lo dice a Sardinia Post dopo la lettera-appello pubblicata lo scorso 21 gennaio sul sito dei Quattro Mori. “Ho scritto – spiega Columbu – a tutti gli amici sardisti, a quelli che ancora animano il partito, ma pure ai tanti che lo hanno lasciato o non sono mai entrati. Serve un atto coraggioso di apertura e di ricostituzione del partito che ristabilisca valori, obiettivi e linee d’azione e porti, quanto prima, alla convocazione di un congresso straordinario in cui eleggere nuovi organi dirigenziali a cui tutti possano candidarsi”.

Presidente Columbu, ha scritto che bisogna “ristabilire valori, obiettivi  e linee d’azione”: il j’accuse è servito?

Per ora ho registrato consensi e dissensi, ma soprattutto scetticismo, cosa che non deve sorprendere se si considerano le tante traversie subìte dal sardismo. Quando parlo di apertura e riunificazione alcuni pensano subito ai loro vicini di casa, al tale o al talaltro con cui in passato hanno avuto dei contrasti. E riaffiorano quei micidiali sentimenti di ostilità che hanno sempre e tanto nuociuto ai sardi e che rimandano a quella amara letteratura umoristica secondo cui sarebbe preferibile il male del prossimo piuttosto che un bene condiviso. D’altra parte la soluzione che io prospetto può essere presa in considerazione solo alla luce di un interesse generale, del partito e soprattutto della Sardegna. Per invertire la rotta occorre una presa di coscienza collettiva che spetta in primo luogo a chi fino ad oggi ha avuto il merito di restare nel Psd’Az, ma anche ai tanti sardisti e alle tante menti preziose che stanno fuori dal partito. Non si potrebbe immaginare una rinascita che non sia anche catarsi e rimedio alle tante autodistruttive divisioni.

Crede che un appello all’unità basti per mettere ordine nella galassia autonomista e indipendentista?

È evidente che non basta. In un processo di questo genere io credo che il Psd’Az possa e debba svolgere un ruolo importante, ma per farlo deve essere credibile. E ormai non basta più esibire i simboli o le gloriose ascendenze. Per questo ho proposto che il partito dia una prova importante e concreta delle proprie volontà. Assumersi la responsabilità della diaspora sardista e aprirsi a tutti coloro che, a ragione o a torto, se ne sono andati o sono stati espulsi, aprirsi a quanti condividono i nostri sentimenti pur avendo dato il proprio apporto ad altre formazioni politiche e comunque a tutti i sardi che trepidano per i destini della Sardegna. Se il partito avrà il coraggio di adottare questa risoluzione, allora avrà anche l’autorevolezza e la forza politica per promuovere la convergenza con le altre formazioni politiche idealmente più vicine.

Sapeva che a dicembre, con lo stesso obiettivo di costituire un polo sovranista, il suo segretario Christian Solinas ha aperto il dialogo col leader dei RossoMori, Gesuino Muledda, un transfugo del Psd’Az?

Mi è giunta voce.

Ecco, il suo non le sembra un doppione?

La costruzione di un polo sovranista è un obiettivo di cui si parla da tempo e per il quale molti stanno lavorando, sia pure con discontinuità. Il senso dell’apertura che io auspico, se ci sarà, si affianca all’azione di convergenza delle diverse sigle politiche e non è cosa che avrebbe senso praticare con riservatezza. È un’apertura che riguarda in primo luogo il Psd’Az, ma che può essere in grado di coinvolgere e illuminare il cuore di tutti i sardi. Si tratta, a mio avviso, di produrre un esempio e un messaggio di significato tanto politico quanto culturale. Essere disposti a tornare uniti per la Sardegna, così come furono uniti e tra loro solidali i sardi che fondarono il partito. Un’idea che forse susciterà il sorriso di chi si è arreso al pessimismo. Eppure resta evidente e inconfutabile quanto quell’evento spaventoso che fu la prima guerra mondiale, oltre a generare morte e atrocità, abbia avuto l’effetto di far prevalere la comune appartenenza dei sardi e l’immedesimazione in una causa comune. Non credo che sia il caso di aspettare un’altra catastrofe perché i sardi tornino a essere uniti. Per sconfiggere quello che sembra essere il sortilegio della eterna divisione, serve un atto di coraggio, di lungimiranza e di amore per la nostra terra. Noi possiamo farlo. Dobbiamo farlo per le responsabilità che ci derivano dalla nostra storia. Sta a noi scegliere tra il piacere distruttivo d’essere sempre gli uni contro gli altri, oppure l’orgoglio e la felicità di fare prevalere una causa condivisa.

Lo scontro con Sanna l’avete vinto. Ma la sensazione è che nel Psd’Az ci sia una nuova frattura: stavolta tra lei e il il segretario Solinas.

Abbiamo attitudini e caratteri diversi, ma sarebbe paradossale se non prevalesse la ragione e finissimo per non collaborare neppure tra noi. Lo dico pur essendomi trovato in dissenso ben più di una volta sulla sua conduzione, nonostante la mia stima personale nei suoi confronti. In particolare alle scorse elezioni amministrative, quando si è deciso di entrare nella coalizione di Massimo Zedda senza rendere pubblico un programma politico, senza rivolgerci ai cittadini e mettendo assieme uomini politici già provvisti di voti. Anche in quella occasione, per estrema lealtà e spirito collaborativo e forse sbagliando, ho manifestato il mio dissenso solo all’interno del partito.

Adesso cosa è cambiato?

È sotto gli occhi di tutti che nella nostra Isola esiste una disperata domanda di cambiamento di cui quasi nessuno si fa interprete. La via a cui i più ambiscono è quella della vecchia politica, entrare nelle istituzioni per ottenere e concedere favori. Ma il Partito Sardo, se non vuole essere marginale e gregario anche in questa biasimevole via, dovrebbe soprattutto rappresentare coloro che dai favori sono esclusi. Questi, che sono la stragrande maggioranza, devono essere i nostri principali interlocutori. Ci sono tante cose di cui bisognerebbe discutere. Dobbiamo rimetterci in cammino ristabilendo indirizzi politici e valori morali. Il Psd’Az sta per compiere un secolo di vita e ha una grande opportunità per reagire a ogni errore commesso e a ogni trascorsa vicissitudine: ricostituire le proprie forze intellettuali e ideali pervenendo a un congresso straordinario aperto a tutti coloro che sono disposti a concorrere.

La galassia autonomista e indipendentista è popolata di ego robusti: materialmente come si fa a metterli insieme?

Le contrapposizioni sono promosse soprattutto dagli ego più deboli, quelli di chi teme il confronto. Il coraggio e la forza stanno nell’affrontare imprese condivise. Se quegli ego fossero davvero forti o robusti, non si chiuderebbero ognuno nella propria nicchia, né fuggirebbero ognuno in una direzione diversa, ma affronterebbero le primarie per decidere a chi affidare la leadership. Pensiamo a quali divisioni, di ben altro tenore e non solo caratteriali, hanno superato in Corsica: lì perfino il movimento che simpatizzava per la lotta armata ha accettato di confrontarsi e di unirsi alla componente democratica.

Questo ragionamento richiama l’appello lanciato lo scorso dicembre da Pietrino Soddu in occasione del referendum costituzionale: l’ex presidente della Regione propose di annullare la scheda per riportare la questione sarda al centro della politica.

Ho molto apprezzato la proposta fatta dal presidente Soddu, a cui riconosco di essere uno degli intellettuali più lucidi, dotato di una visione lungimirante della Sardegna e per il quale ho grande stima, pur essendo stato lui protagonista di una stagione politica che, a mio parere, è stata disastrosa per la Sardegna. Quella sua proposta sul referendum, però, è stata respinta dal partito, a mio parere giustamente, perché la riforma costituzionale incideva anche sulla nostra specialità statutaria. E comunque, lo dico in generale, senza riferirmi al referendum, essere sardi e sardisti non ci deve impedire di sostenere una causa giusta anche qualora non riguardi direttamente la Sardegna.

Nella sua lettera-appello pubblicata sul sito del Psd’Az, chiama “fratelli” gli altri sovranisti e indipendentisti. Non le sembra un eccesso di ottimismo?

Proprio per niente. Loro sono obiettivamente nostri fratelli perché hanno i nostri stessi padri ideali. Sono la parte mancante del Partito Sardo. Le divergenze tra noi e loro non sono maggiori di quelle che esistono in seno al Psd’Az. Per questo auspico un’apertura del partito rivolta a tutti. Soprattutto ai giovani. E che tutti possano essere accolti come se fossero sempre stati con noi, con uguale diritto di concorrere alla ricostituzione. La discriminante va riposta esclusivamente nelle idee, nei valori e nei programmi, ovvero in un nuovo manifesto politico per l’indipendenza della Sardegna.

Mettiamo che movimenti e partiti indipendentisti riescano a fare fronte comune: dovranno poi correre da soli alle prossime Regionali?

Certamente sì. La convergenza deve avere come primo obiettivo elaborare un progetto credibile e condiviso di cambiamento della Sardegna, il fondamento per competere assieme alle Regionali.

Se invece l’unità non verrà raggiunge, il Psd’Az continuerà a preferire il centrodestra nelle alleanze di governo per la Regione?

Il Psd’Az non ha mai preferito il centrodestra. Quando nel 2015 ho accettato di candidarmi alla presidenza del partito (contro l’uscente Giacomo Sanna), democraticamente abbiamo scelto di abbandonare il metodo delle ‘mani libere’, per privilegiare la convergenza dell’area indipendentista. Già allora era chiaro che non aveva più senso continuare ad andare una volta con la destra e l’altra con la sinistra, a seconda della convenienza. Oltre a comportare forti esposizioni all’opportunismo, questo ci avrebbe condannato a essere sempre e solo dei gregari. Ciò non toglie che i valori sociali del sardismo, come difesa dei deboli, pari opportunità, rifiuto di ogni forma di razzismo, abbiano una connotazione che, per usare vecchie definizioni, può dirsi di sinistra. Non di meno è vero che con la sinistra storica, da sempre propensa alle omologazioni, c’è sempre stato un forte contrasto sui valori dell’identità.

Crede che l’indipendentismo sardo abbia la forza per eleggere propri rappresentanti in Sardegna anche senza stringere alleanze con i ‘partiti italiani”?

Se l’indipendentismo converge, pur con quelle varie accezioni che a volte sembrano rimandare a differenze teologiche piuttosto che politiche, diventa forza determinante e forse preminente. Sicuramente non più esposta a essere gregaria. Ecco perché unirsi e fare prevalere le ragioni comuni non è un’opzione possibile ma una necessità irrinunciabile.

Quale Europa serve alla Sardegna o sul modello francese di Le Pen bisogna cavalcare il vento dell’antieuropeismo?

Il Partito Sardo è convintamente europeista, ma questa Europa non ci va bene per tanti motivi. Ne dico solo uno che mi sta particolarmente a cuore: ha reso possibile un libero scambio di merci e servizi che, per molti aspetti, dovrebbe essere più propriamente definito aggressione alla nostra economia e alla nostra civiltà. Fino al paradosso dei prodotti adulterati che mettono fuori gioco quelli genuini. Se la sinistra fosse realmente tale, dovrebbe essere in prima linea contro questa falsa libertà degli scambi che, oltre all’economia, è destinata a mettere sempre più in crisi lo stato di diritto, proprio come sta già avvenendo.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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