Accantonamenti: “Tolti troppi soldi”. Regione vince alla Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale bacchetta lo Stato e dà ragione alla Sardegna nel ricorso contro la legge nazionale di bilancio, approvata nel 2017 dal governo di Paolo Gentiloni e a cui la Giunta di Francesco Pigliaru si è opposta davanti alla Consulta a febbraio 2018. La Regione da tempo è impegnata in un braccio di ferro col Governo centrale per contestare l’eccessivo peso degli accantonamenti, cioè le somme che Roma trattiene a copertura del debito pubblico. I giudizi costituzionali hanno definito illegittimo l’articolo 1 del bilancio di previsione “nella parte in cui non prevede, nel triennio 2018-2020, adeguate risorse per consentire alla Regione autonoma Sardegna una fisiologica programmazione nelle more del compimento, secondo i canoni costituzionali, della trattativa finalizzata alla stipula dell’accordo di finanza pubblica”.

Era atteso il pronunciamento della Consulta, anche perché la trattativa aperto dalla Giunta per ottenere una riduzione degli accantonamenti finì nella passata legislatura su un binario morto (leggi qui). Nelle scorse settimane  Pigliaru, assieme all’assessore Raffaele Paci, avevano scritto anche al Governo guidato da Giuseppe Conte annunciando di non pagare le “somme considerate inique“.

Nella sentenza appena pubblicata i giudici ricordamno che “a partire dal 2012 (primo anno di applicazione degli accantonamenti nella finanza pubblica) erano state sottratte alla disponibilità della Regione entrate proprie stabilite dalle norme statutarie e, quindi, a partire dal 2018 la Regione autonoma Sardegna chiedeva di rientrare in possesso di tali quote, in modo da superare il regime degli accantonamenti nel quadro di un nuovo accordo di finanza pubblica che tenesse conto della capacità fiscale e contributiva dei diversi territori italiani”.

Nel ricorso la Regione sottolinea la disparità di trattamento ricevuta rispetto alle altre Regioni a Statuto speciale e nella sentenza di oggi vengono indicati i fondi ricevuti dallo Stato in questi anni. “Le somme effettivamente liquidate alla Regione, al netto dei contributi di finanza pubblica, sarebbero passate da 4,906 miliardi di euro nell’anno 2006 a 5,836 miliardi di euro nell’anno 2010 e sono pari a 6,707 miliardi di euro nell’anno 2016, e che i più recenti dati del Pil regionale pubblicati a dicembre 2017 dall’Istat e le variazioni annuali registrate dal 2008 al 2016 mostrerebbero un arretramento della ricchezza prodotta in Sardegna (meno 9,4 per cento) più accentuato rispetto al centro-nord (meno 4,8 per cento) e al Mezzogiorno nel suo complesso (meno 9,0 per cento)”.

Per evidenziare la necessità di avere un trattamento economico adeguato si ricorda che “la stessa ripresa maturata negli ultimi anni si sarebbe mostrata particolarmente fragile: negli anni 2014, 2015 e 2016 il Pil della Regione autonoma Sardegna sarebbe cresciuto complessivamente dello 0,7 per cento, rispetto all’1,6 per cento dell’intero Mezzogiorno e al 2,2 per cento del centro-nord – si ricorda nella sentenza – il ‘ritardo dello sviluppo economico dovuto all’insularità‘ menzionato dalla stessa disposizione impugnata, troverebbe effettivo riscontro nella differenza tra il Pil pro capite registrato dagli ultimi dati disponibili dell’Istat relativi all’annualità 2016″.

La Regione incassa ora una vittoria alla Consulta con una sentenza favorevole sul fronte delle entrate. Secondo i giudici della Corte costituzionale “nelle relazioni finanziarie tra Stato e Autonomie territoriali la ‘ragione erariale’ non può essere un principio tiranno. Anzi, nell’adozione delle politiche di bilancio, il legislatore dispone di una  discrezionalità ‘limitata’ dagli effetti delle sentenze della Corte costituzionale”.

Dalla Consulta spiegano che “si tratta di una novità giurisprudenziale coerente con quanto la Corte aveva affermato precedentemente circa la necessità che lo Stato ponga in essere una leale collaborazione con le autonomie territoriali nella gestione delle politiche di bilancio”. I giudici della Corte costituzionale presieduta da Giorgio Lattanzi con la loro sentenza censurano “il ritardo con cui lo Stato ha dato attuazione alle precedenti pronunce della Corte, affermando che l’attuazione non può essere ritardata a piacimento ma deve intervenire tempestivamente dopo la pubblicazione della sentenza e comunque entro la prima manovra di finanza ad essa successiva”.

Per chiarire meglio il contenuto della sentenza numero 6 del 2019, decisa il 21 novembre e pubblicata questa mattina, i giudici della Consulta si sono affidati anche a un comunicato stampa. Nella sintesi sono indicati i criteri che lo Stato deve rispettare per stabilire i contributi che spettano alla Sardegna, in attesa che si perfezioni l’accordo definitivo tra Stato e Regione. Ecco i requisiti: “La dimensione della finanza della Regione rispetto alla finanza pubblica,  le funzioni effettivamente esercitate e i relativi oneri,  gli svantaggi strutturali permanenti, i costi dell’insularità e i livelli di reddito pro capite – si legge nella nota – il valore medio dei contributi alla stabilità della finanza pubblica allargata imposti agli enti pubblici nel medesimo arco temporale e il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali“.

Marcello Zasso
(@marcellozasso on Twitter)

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