Marco Murgia: Noi, i ragazzi de L’AltraVoce, e quel maestro che rimetteva in ordine il caos

Io sono uno di quelli che a Giorgio deve tanto. Sono uno di quelli che ha lavorato con lui, in quella splendida esperienza che è stata l’AltraVoce, dalla terza uscita o quarta uscita online all’ultima passando per i numeri cartacei, prima che la redazione chiudesse – lui non poteva più garantirci uno stipendio – e il giornale diventasse il suo blog.

Mi prese che ero un ragazzino, rientrato da qualche mese da Reggio Emilia dove avevo concluso una sostituzione nella redazione de La Gazzetta Di Reggio. Non sapeva chi fossi, naturalmente, ma questo non costituiva per lui il minimo problema: ricordo di quel nostro primo incontro una chiacchierata – cioè: lui mi faceva una domanda e poi completava la mia risposta. Tipo: “Di cognome fai Murgia”, “Sì”, “Quindi sei di Seulo” e via con nomi, eventi, collegamenti tra la mia vita, la sua, quella di qualche mio parente più noto a lui che a me e la storia politica dalla Barbagia a Cagliari come fosse cosa nota a tutti – e un pezzo da scrivere a casa sulla lingua blu.

Da allora in poi sono seguiti giorni e mesi e anni di lavoro insieme, in un rapporto che non era tra direttore e redattori – cioè, Giorgio Melis, mica niente, e noi giovani giornalisti in erba, ma anche disegnatori (che grandi, i nostri de l’AltraVoce, anche quando li chiamava all’una di notte perché aveva deciso di cambiare l’apertura del giornale e quindi serviva una nuova tavola), collaboratori e firme eccellenti – ma tra persone che avrebbero voluto che quel foglio online non finisse mai.

Ricordo la nostra fatica a stargli dietro, ogni giorno. Non fatica fisica, sia chiaro, anche se pure su quella ci avrebbe potuto dare il tanto. Più che altro su ogni riga che io scrivevo, che noi scrivevamo, lui aveva cento collegamenti pronti: dati, date, documenti incontestabili. Si tornava a casa la notte tardi, prima dalla redazione di via Santa Croce e poi da quella di via Pitzolo, con il cervello in pappa.

Però che piacere, la mattina dopo, ogni mattina, leggere quell’editoriale che riassumeva tutte le date, i dati, i nomi, i documenti e i collegamenti che il giorno prima ci sembravano solo nozioni messe lì a caso. Pezzi lineari, precisi, taglienti: il contrario dei ragionamenti travolgenti fatti al telefono o in redazione. Una bellezza vera: ma del suo essere giornalista hanno scritto altri che l’hanno conosciuto molto più di me. Sono d’accordo con chi ha scritto “Non piangete per Giorgio Melis”: sempre avanti bisogna andare che il nostro piangere fa male al re, direbbe lui con la sua irriverenza. Io di preciso e lineare ho solo da dirgli grazie.

Marco Murgia

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