Parco geominerario, il grande tradimento

Una grande occasione sprecata. La sintesi della distanza enorme tra i propositi e le realizzazioni. La storia del Parco Geominerario va riesaminata oggi, quando si parla con tanta insistenza di progetti di sviluppo alternativo per il Sulcis. Abbiamo ripercorso la storia di questo progetto con Giampiero Pinna, geologo, ultimo Presidente dell’Ente Minerario Sardo, ex consigliere regionale dei Democratici di Sinistra, fervido sostenitore del Parco Geominerario della Sardegna ed attuale coordinatore della Consulta delle associazioni.

Lo incontriamo sabato 17, nella sede dell’Associazione Pozzo Sella, in Piazza Lamarmora ad Iglesias, un ambiente sobrio ed elegante, alle pareti tanti ricordi legati alle miniere; un’associazione che lui ha fortemente voluto e che ha voluto dedicare, nel nome, a quel luogo simbolo della lotta in cui ha sempre creduto e che testardamente ha portato avanti fino all’azione estrema di occupare la Galleria Villamarina e il Pozzo Sella, nella miniera di Monteponi.

Quando e come nasce l’idea di un Parco Geominerario della Sardegna?

“L’idea del Parco nasce tra la gente, tra coloro che hanno vissuto le miniere e che, in un certo senso, non si sono rassegnati al loro tramonto, ben consci dell’enorme potenzialità storico-artistico-culturale che esse rappresentano per uno sviluppo alternativo a quello della produzione mineraria. Ci sono esempi in tutto il mondo. Come la miniera del Colorado, negli Stati Uniti, aperta alla fine dell’’800 e chiusa negli anni ’30, con una vita di soli trent’anni, che poi è stata recuperata e trasformata in museo”.

Qui da noi, invece?

“Qui invece c’è stata tanta distruzione, cancellazione di un’enorme patrimonio storico e culturale che le associazioni di volontariato hanno, in qualche modo, interrotto muovendo i primi passi, nel 1992, verso quello che diventerà il Parco Geominerario della Sardegna; ma le istituzioni regionali, in primis, hanno trascurato, snobbandola, quest’idea per ben quattro anni, fino a quando, nel 1996, l’Ente Minerario Sardo non fu coinvolto nel progetto, proprio mentre le ultime miniere stavano chiudendo. L’Ente Minerario Sardo fece sua l’idea del Parco coinvolgendo autorità politiche e culturali ai massimi livelli, l’Università di Cagliari, il professor Giovanni Lilliu, autorevole archeologo di fama internazionale, tutti dettero il proprio contributo in maniera volontaristica alla stesura di quel dossier che rappresentava l’ossatura dell’idea del Parco, idea che si concretizzò il 5 novembre 1997 con il primo riconoscimento da parte dell’Unesco. Questo riconoscimento ci diede la forza di andare avanti e di chiedere alla Regione che finanziasse il progetto cosa che di li a poco avvenne con uno stanziamento di 2 miliardi e 100 milioni delle vecchie lire con i quali fu predisposto lo studio di fattibilità, organizzato un comitato scientifico presieduto dal Prof. Lilliu e la predisposizione del progetto della Legge che poi avrebbe dovuto regolare la vita del Parco. Fui io in persona, quale Presidente dell’Ente Minerario, a gestire questa prima fase che però si arenò quasi subito fra i meandri burocratici, in particolare, della Regione sarda”.

Poi lei fece il salto nel Consiglio regionale…

“Sì, mi candidai nelle liste dei Ds ( Democratici di Sinistra ) facendo del Parco il mio cavallo di battaglia; questo mi procurò un grandissimo consenso elettorale che mi diede ancora di più la forza di perseguire il risultato dell’istituzione del Parco. Ma le difficoltà “politiche” erano tante, infatti, alla fine del Duemila, vedendo che la sua istituzione era in stallo, decisi di fare quell’atto eclatante che fu l’occupazione della galleria Villamarina di Monteponi per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, ma soprattutto risvegliare le coscienze politiche, sull’importanza che l’istituzione del Parco avrebbe avuto per il nostro territorio in termini culturali, economici e sociali. L’occupazione durò quasi un anno, e non fu un anno facile, per me, ma ne valse la pena perché arrivarono i risultati di questa lotta: fu varata la Legge col decreto istitutivo del Parco, arrivarono i finanziamenti per la gestione e le bonifiche, l’assunzione di 500 lavoratori precari a tempo indeterminato”.

Ma per quanto se ne sa, quel personale fu utilizzato per tante cose tranne che per i motivi per cui era stato assunto, cioè realizzare i lavori di bonifica e i recuperi.

“Proprio così. Per fare un esempio, il Conte Ugolino della Gherardesca impiegò cinque anni per erigere le mura pisane che cingono la Città d’Iglesias, questi lavoratori ne impiegarono sette per restaurarne una piccola porzione. La verità è che appena il Parco cominciò a muovere i suoi primi passi, ed io ero sotto terra, in galleria, ci fu un vero e proprio assalto al suo consiglio d’amministrazione da parte della politica, di quella politica che fino a quel momento era rimasta alla finestra a guardare. L’interessamento non era finalizzato al bene del Parco, ma alla gestione delle bonifiche, dei denari e delle cariche. Hanno fatto un massacro. Il Parco passò sotto la direzione dell’allora assessore all’ambiente Pani, vicino ad Alleanza Nazionale, che fu il primo Presidente dell’Ente Parco, il quale per sei anni non fece nulla snobbando perfino le richieste dell’Unesco di documentazione occorrente per istituire la rete mondiale dei Geoparchi, di cui quello della Sardegna, ne era il progenitore.

E cosa successe?

“Il nostro Parco ne fu miseramente escluso”.

E alla fine si arrivò al commissariamento…

“Accadde nel 2007. La decisione fu assunta proprio per via di quel totale immobilismo dal Ministero dell’Ambiente di concerto col Presidente della Regione Sardegna. L’obiettivo era individuare e rimuovere le cause che avevano portato alla paralisi totale delle attività del Parco. Fui incaricato io di predisporre una bozza di piano di riforma dell’Ente, coadiuvato da un gruppo di giuristi coordinati dall’Università di Cagliari; nel giro di quattro mesi la proposta elaborata fu sottoposta all’esame della comunità del Parco (costituita da 35 sindaci, Presidenti di Province, la Regione e le associazioni in numero di 60) che la approvò. Il progetto di riforma dell’Ente Parco fu poi portato all’attenzione della giunta regionale che avrebbe dovuto dare attuazione alla riforma finalizzata al rilancio del Parco Geominerario della Sardegna; impegno assunto ufficialmente e, a tutt’oggi, completamente disatteso nonostante i ripetuti solleciti, diverse manifestazioni pubbliche presso le istituzioni regionali e luoghi simbolo del Parco Geominerario, tutte iniziative cadute nel vuoto”.

E’ quanto avete denunciato nell’incontro del 13 novembre con la delegazione del governo. Cosa vi aspettavate?

“Ci aspettavamo dal Ministro Barca, che si era impegnato a sollecitare l’approvazione della riforma del Parco e da Cappellacci che si era impegnato a portare, in quella riunione, le soluzioni per rilanciarne lo sviluppo, una presa di posizione forte e decisa con l’assunzione di impegni precisi, invece il Parco non l’hanno nemmeno nominato, con mio grande disappunto, anche verbale, nei confronti dei Ministri e di Cappellacci. Per questo ci siamo sentiti traditi e presi in giro. Quando il Ministro Clini insieme al Governatore Cappellacci parlarono del futuro del Parco Geominerario come di un ente di eccellenza a livello europeo e come presupposto per la rinascita del Sulcis, stavano prendendo in giro la gente”.

Il Parco Geominerario storico ambientale della Sardegna avrebbe una sua sostenibilità economica?

“Il Parco Geominerario potrebbe avere accesso a infiniti finanziamenti creando un volano di sviluppo economico che a sua volta ne genera di nuovo; tutto ciò se solo ci fossero persone che in questo Parco credono. Le misure di austerity e di spending review messe in campo dal Governo per colpire gli enti locali, nel Parco non valgono; esso non è vincolato dai patti di stabilità, per cui è come un corridoio dove far affluire finanziamenti anche cospicui che fanno seguito a progetti relativi al Parco e al suo incredibile sviluppo che non è legato al solo ripristino dell’immenso patrimonio minerario e culturale ma vive in perfetta e totale sinergia con quello dell’agroalimentare, dei prodotti della terra, dell’artigianato, dello sviluppo turistico delle coste, della diportistica, etc. “.

Di chi le principali responsabilità di questo disastro economico?

“Concordo col Ministro Barca quando dice che il disastro economico e sociale del Sulcis è da imputare ad incuria politica locale, ma la cosa più tragica è il fatto che a presentare il Piano Sulcis sono le stesse persone che ne hanno determinato la distruzione”.

Qual è il suo giudizio sul così detto “Piano Sulcis” e sulle sue potenziali ricadute sul Parco Geominerario?

“E’ un totale fallimento perché manca proprio di contenuti e di idee, oltrechè di risorse, perché non è altro che la riproposizione dell’esistente che sta fallendo, ma non sono io a dirlo ma i fatti che parlano da soli, basti vedere la fermata dell’Alcoa e con essa il tramonto della filiera dell’alluminio del Sulcis; il piano energetico legato alla Carbosulcis, che doveva segnare la rinascita di questa miniera è di fatto scomparso, con il solo rinvio di un anno della dichiarazione di morte di questo comparto solo per opportunità politica che per altro; infatti l’idea e il progetto di cattura della CO2 in quella miniera, in quel giacimento e in quelle gallerie è fisicamente impossibile, parola di geologo. Manca dunque, in questo Piano, una nuova impostazione, una nuova visione di uno sviluppo alternativo alle miniere e alle industrie ormai al tramonto; le stesse bonifiche, nel Piano, vengono viste non come parentesi per ripristinare un territorio in modo che possa accogliere nuovo sviluppo , cioè un’infrastruttura per rinascere, ma come sbocco occupazionale fine a se stesso; per quindici anni i nostri territori sono rimasti in mano all’incuria dell’uomo e del tempo, distrutti e depredati senza fare ciò che è stato fatto per esempio nella Ruhr, in Germania, Bagnoli o in altri centri industriali dismessi. Sarebbe anche interessante verificare come sono stati spesi, negli ultimi dieci anni, i circa 500 milioni di euro destinati alle bonifiche”.

Carlo Martinelli

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