Peste suina, i salumifici sardi all’Ue: “Noi fermi, Belgio e Germania favoriti”

“Dopo la grande delusione da parte dell’Unione Europea che ha mantenuto la Sardegna nella fascia più restrittiva per il controllo sulla peste suina africana, adesso arriva una decisione si rivela nel suo volto ben più grave: la sospensione totale delle esportazioni”. Così comincia la nota firmata ieri dalle aziende sarde, in particolare i salumifici che già risentono della crisi legata al Covid e ora devono fare i conti con questa nuova mazzata.

Tutto si lega a un regolamento di esecuzione, il numero 2021/605, che l’Unione europea ha emesso il 7 aprile scorso e la cui entrata in vigore è arrivata il 21 dello stesso mese. Tale regolamento stabilisce “misure speciali di controllo della peste suina africana e modifica e abroga alcuni atti in materia di sanità animale”. Il 26 la Commissione Ue ha approvato un secondo atto, il numero 2021/687, con il quale è stato aggiornato il primo.

A seguito di questa pubblicazione e “dei tempi ristrettissimi per la sua corretta interpretazione nonché in mancanza di linee guida chiare da parte delle autorità sanitarie, diversi salumifici della Sardegna stanno subendo una sospensione del rilascio della certificazione veterinaria dei prodotti da esportare, causando di fatto un blocco delle esportazioni”.

Al momento la comunicazione istituzionale sembra al suo minimo storico. Perché l’incertezza la sta facendo da padrona. I salumifici sono in attesa “di ulteriori approfondimenti e interpretazioni”, ma si fanno una domanda: “È accettabile ciò in un mercato che non concede sconti e per lo più fortemente colpito dalle conseguenze della pandemia mondiale?”. Peraltro se lo sblocco on arriva in tempi rapidi, gli effetti economico per le aziende possono essere pesanti.

Gli operatori contestano in primo luogo “l’incomprensibile assegnazione della Sardegna nella zona di restrizione III, quella più limitata secondo le nuove normative, nonostante da quasi tre anni non si sia più verificato alcun focolaio di peste nei suini allevati e da oltre un anno non ci siano focolai nemmeno nei cinghiali sui quali è sempre attivo il monitoraggio tramite l’attività venatoria”. Invece il regolamento 2021/605 prevede che la zona di restrizione III (quella più rigida) venga assegnata solo “qualora si abbiano contagi nei suini domestici negli ultimi dodici mesi”.

Le aziende dell’Isola lamentano “il diverso trattamento è stato riservato alla Germania e Belgio, dove sono stati accertati oltre 500 casi di peste suina nei cinghiali; idem la Polonia, dove sono state rimosse numerose zone di restrizione, e questo malgrado tutto l’Est Europa sia interessato da una grande diffusione del contagio anche negli allevamenti”.

Con il regolamento 2021/687 sono state “inoltre modificate le zone e allentate le restrizioni per molte regioni dell’Est Europa con l’esplicita motivazione dell’assenza di contagi nei suini allevati negli ultimi dodici mesi. Eppure per la Sardegna che non vede contagi da quasi tre anni non è stata prevista alcuna promozione”. Quindi “più di un dubbio viene per una tale disparità di trattamento”, protestano ancora i salumifici dell’Isola.

Ancora dalla nota stampa: “La decisione del Consiglio Europeo è palesemente discriminante nei confronti della Sardegna che continua a rimanere differenziata dall’Italia nella regionalizzazione delle restrizioni per via della sua insularità. In questo modo il danno è solo per l’Isola e non per i grandi stabilimenti dell’Italia, e questo spiegherebbe anche la scarsa pressione fatta nell’assegnazione delle regionalizzazioni”.

I salumifici stanno provando a fare fronte comune e scrivono ancora: “Ad oggi gli operatori lamentano un ulteriore stato di incertezza, addirittura di blocco, dopo aver investito ingenti risorse, il più delle volte anche con finanziamenti regionali e statali e uno sforzo non indifferente per riuscire ad arrivare ai mercati d’oltremare, da sempre molto difficili da raggiungere per i sardi”.

Sarebbe necessario che la Giunta intervenisse, rapidamente. “Gli operatori hanno preso contatti con la Regione e attendono di essere ricevuti con l’auspicio che la stessa ricorra presso il Consiglio d’Europa contro la decisione di mantenere la Sardegna nella zona di restrizione III per non rendere inutili gli enormi sacrifici dovuti alle drastiche scelte degli abbattimenti, e liberalizzare finalmente, dopo oltre 40 anni, le esportazioni”.

[Foto d’archivio]

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