Pecorino Dop, l’Isola perde un round: resta in commercio il ‘Cacio romano’

Prosegue il braccio di ferro tra i produttori caseari sardi e i laziali a forza di ricorsi in tribunale. L’ultimo round qualche giorno fa quando la Corte d’Appello di Roma ha ridestato le speranze dei capitolini. Oggetto del contendere, l’utilizzo del marchio Dop, la denominazione di origine protetta che tanto aiuta il boom di esportazioni di formaggi stagionati italiani nel mondo, Stati Uniti in testa. Il marchio è ora appannaggio esclusivo del protagonista dei mercati, il Pecorino romano, che per il 97 per cento è prodotto in Sardegna. Come nell’Isola – a Macomer – ha sede il Consorzio per la tutela del formaggio Pecorino romano Dop che riunisce i produttori di quel formaggio. Ma la Corte d’Appello di Roma nei giorni scorsi ha sospeso la sentenza del Tribunale civile di Roma che aveva vietato la commercializzazione l’uso del marchio “Cacio romano”, prodotto dagli allevatori capitolini convinti che il marchio debba essere riconosciuto nel solo perimetro regionale.

“È stata solo sospesa l’esecuzione del ritiro dal mercato dei prodotti a marchio ‘Cacio romano’ – ha commentato Salvatore Palitta, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop – attendiamo una pronuncia di merito, le loro richieste sono state più volte respinte. E il Consorzio non si ferma: “Coinvolgeremo la Commissione europea perché è un aspetto fondamentale nella tutela delle produzioni geografiche, in Sardegna si produce quasi tutto il Pecorino romano in commercio, in Italia e all’estero”, annuncia Palitta.

La battaglia era cominciata quando i laziali avevano avanzato l’idea di staccarsi dal Consorzio di tutela e registrare un nuovo marchio, il “Cacio Romano”, inviando un’istanza di riconoscimento al ministero dell’Agricoltura del nuovo brand. Da lì il passo alle aule del Tribunale delle imprese. Come ricostruisce il Notiziario Chartabianca, a opporsi fu subito lo stesso Consorzio, ritenendo che la nuova etichetta avrebbe “leso i suoi diritti esclusivi derivanti dalla denominazione di origine Pecorino Romano Dop e dell’omonimo marchio collettivo registrato”. Così presentò un ricorso (il 23 novembre 2016) con cui chiedeva al Tribunale “di dichiarare l’invalidità e l’inefficacia della registrazione del marchio Cacio Romano e inibire alla società  Formaggi Boccea, che aveva avanzato l’istanza, l’utilizzo del marchio disponendo il ritiro dal commercio dei prodotti con le etichette Cacio romano con richiesta di condanna per i danni subiti”.

Un braccio di ferro che coinvolge anche le istituzioni e le associazioni di categoria: all’azione del Consorzio si era opposta sin da subito la Coldiretti Lazio, mentre ad appoggiare i produttori sardi è stata la Regione, che si era costituita in giudizio, con il presidente Francesco Pigliaru che scrisse all’allora ministro Maurizio Martina, oltre a Legacoop e Cia Sardegna. La creazione di un altro marchio e la concorrenza che si genererebbe potrebbe portare a un abbassamento del prezzo finale del latte pagato agli allevatori sardi.

La sentenza. “Oggettivi criteri di interferenza logica e fonetica fra i due marchi che portano a concludere per la necessaria declaratoria di nullità di quello successivamente registrato”, è quanto riporta la sentenza del Tribunale delle imprese di Roma, pubblicata lo scorso 28 settembre 2018, che dà ragione al Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop nella causa contro la Formaggi Boccea Srl che aveva registrato il marchio “Cacio romano”.

Tra le norme richiamate nel pronunciamento, oltre quelle nazionali, anche il riferimento alle europee, in particolare un documento dove la Corte di giustizia aveva sottolineato come rilevante “il fatto che ormai la quasi totalità del latte utilizzato per la produzione del Pecorino romano proviene da aree esterne al territorio di Roma e del Lazio nel caso di specie il Pecorino viene prodotto quasi totalmente in Sardegna, perciò deve essere tutelata la reputazione che questo prodotto ha maturato nel corso degli anni e l’indotto agropastorale ad esso sotteso. Il marchio collettivo infatti non rappresenta soltanto riferimento a un determinato imprenditore ma caratterizza un settore economico in un determinato indotto produttivo e territoriale”.

Marzia Piga

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