Onorato: “Si applichi modello inglese. Troppi marittimi senza lavoro o schiavi”

“Copiamo la Gran Bretagna e diamo ai marittimi, non solo italiani, la speranza di non finire nel vortice della disoccupazione cronica o della nuova globalizzazione che porta schiavitù e povertà”. A lanciare un altro guanto di sfida è Vincenzo Onorato (nella foto). Il presidente di Moby e Tirrenia si rivolge alle istituzioni, anche a quelle italiane, e lo fa alla vigilia della mezza maratona di Napoli che vedrà correre, in difesa del loro diritto al lavoro, decine di marittimi del nostro Paese.

Onorato da un lato apre il pressing sulle autorità marittime competenti, “affinché sia assicurata massima trasparenza sulle tabelle di imbarco e quindi sulla composizione degli equipaggi delle navi che battono bandiera italiana”, si legge in una nota; dall’altro rivolge una precisa sollecitazione al Governo nazionale. “Le navi che entrano nelle acque territoriali del nostro Paese – spiega il presidente di Moby e Tirrenia – dovranno dimostrare, non con documenti farlocchi come spesso accade oggi, che i marittimi a bordo percepiscono almeno il minimo di salario fissato dall’Itf (Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti) e dall’International labour organization (Ilo, Organizzazione internazionale del lavoro). In caso contrario le navi saranno poste sotto sequestro e gli armatori saranno indagati”.

Secondo Onorato la decisione assunta nel gennaio 2018 dal governo di Londra rappresenta un precedente importantissimo nella lotta alla nuova schiavitù. Le autorità marittime britanniche stanno infatti diffondendo, in cinquanta diverse lingue, le informazioni sia agli armatori che ai broker, e specialmente ai marittimi. L’obiettivo, come sottolineato dal ministro all’Economia, Andrew Griffith, è anche quello di “tutelare il lavoro dei marittimi inglesi, ai quali è spesso preferito, anche sulle piattaforme petrolifere e nel cabotaggio, personale sottopagato.

“La nuova normativa britannica, che fissa sanzioni sino al 200 per cento del differenziale salariale, prevede la pubblicazione di una black list degli armatori che non rispettano le leggi e una incriminazione penale”. Il presidente di Moby e Tirrenia da anni porta avanti una crociata isolata in difesa degli oltre 50mila marittimi italiani disoccupati, ma anche del diritto dei marittimi extra comunitari a non essere trattati come schiavi. E adesso suggerisce l’applicazione del modello inglese “in Italia, secondo un’applicazione che può essere facilmente mutuata”.

Come accade in Gran Bretagna, la black list potrebbe riguardare tutte le attività in acque territoriali italiane, “in primis i traffici di cabotaggio”, è ancora scritto in una nota diffusa dal Gruppo degli armatori napoletani. Le norme sull’impiego del personale andrebbero poi estese alle “navi estere impegnate temporaneamente in acque internazionali,. ma operanti regolarmente in acque italiane, oltre che tutte le navi di bandiera italiana”.

Nonostante un aumento a livello internazionale deciso proprio dall’International labour organization, il salario medio dei marittimi nel mondo è di 614 dollari per novanta ore di lavoro alla settimana, “il che significa nella migliore delle ipotesi 6,8 dollari all’ora”. Sempre secondo l’Ilo, una quota compresa tra il 30 al 50 per cento dei marittimi imbarcati nel mondo percepirebbe paghe pari alla metà di quella sindacale, ovvero circa 300 dollari: sono circa tre dollari all’ora. Chi non accetta paghe da fame resta a casa. E ancora: oltre l’85 per cento dei marittimi nel mondo – sono in totale 1.647.500 – è di nazionalità filippina, cinese, indonesiana, ucraina e russa.

Ovviamente, a fronte di paghe basse, corrispondono rischi altissimi. Secondo una recente indagine di Itf, un marittimo rischia la morte sul posto di lavoro ventuno  volte di più rispetto a quanto accade a un lavoratore di terra.
“Noi – conclude Onorato confermando il suo sostegno ai marittimi italiani anche in occasione della mezza maratona di domenica prossima – diciamo basta alla globalizzazione della povertà e della schiavitù e quindi alla truffa della bandiera italiana, paradossalmente detassata per negare un futuro ai nostri giovani. E chi non rispetta le norme sul salario minimo finisca in galera”.

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