Latte, solo un mese per il conguaglio: restano basse le quotazioni del Romano

Il tempo stringe e i pastori attendono di capire quanto sarà pagato loro come conguaglio per la campagna lattiero-casearia, in dirittura d’arrivo. Il primo scaglione di pagamento è previsto a novembre prossimo ma ancora gli allevatori non hanno certezze.

Secondo le griglie contenute nell’accordo siglato lo scorso 8 marzo in Prefettura a Sassari tra pastori, organizzazioni agricole e trasformatori (per la maggior parte incentrato sul legame del prezzo del latte con la produzione di Pecorino romano), serve arrivare a un prezzo medio del Romano di 8,50 euro al chilo per riuscire a far salire la remunerazione dei pastori fino a superare l’euro (1,02 euro per litro). E con l’annata lattiero-casearia agli sgoccioli tutto è affidato all’andamento del mercato di settembre e ottobre.

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La griglia dei prezzi dell’accordo siglato l’8 marzo 2019

C’è dunque solo un mese di tempo per portare i prezzi del formaggio, tra i più esportati dall’Italia, a livelli tali da obbligare i caseifici a pagare un congruo conguaglio, e le cifre son ben lontane dall’obiettivo. Alla Borsa merci di Milano due giorni fa, il Pecorino romano Dop con stagionatura di 5 mesi e oltre da produttore, è stato venduto per cifre tra i 6,60 e i 6,90 euro al chilo, registrando un incremento sul prezzo dell’ultima seduta del 26 agosto dell’1,5 per cento.

È necessario che il prezzo medio ponderato del formaggio, calcolato da novembre 2018 a ottobre 2019, lieviti fino a 6,50 euro al chilo – come previsto dall’accordo dell’8 marzo 2019 – per poter pagare il primo scaglione di conguaglio a novembre prossimo, pari ad una maggiorazione di 2 centesimi oltre il prezzo base, che è attestato, per i mesi da marzo in poi, a 0,74 centesimi al litro. Ora tutto dipenderà dalle quantità effettivamente compravendute e dai prezzi effettivi di mercato da oggi a fine ottobre, come previsto dall’accordo.

Così da un lato, anche se per ora sporadiche e isolate, si sono riaccese le proteste, con alcuni allevatori che hanno ricominciato a sversare il latte e dall’altro i pastori hanno ricominciato a ragionare sulle azioni necessarie per cambiare l’approccio al sistema attuale. Gli attori sono tanti, a cominciare da quelli della filiera del Pecorino romano. Il Piano di regolazione dell’offerta da parte del Consorzio di tutela è stato approvato, ma continua a far discutere. La neonata associazione di pastori ‘Più Sardegna’ chiede – e la Regione con l’assessora dell’Agricoltura Gabriella Murgia sembra non disdegnare – un contratto triennale, garantito dalla politica, che tenga conto di alcuni parametri fissi non influenzabili dall’andamento del mercato, che utilizzi come base di calcolo il valore medio del costo di produzione di un litro di latte (1,12 euro Iva esclusa), ottenuto calcolando la prestazione lavorativa giornaliera dell’operatore e dei suoi collaboratori (60 centesimi, base di partenza).

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Inoltre, nonostante quest’anno si sia prodotto molto meno Pecorino romano rispetto alla campagna 2017-2018 (secondo le cifre del Clal 25.389 tonnellate in tutto, pari a -21,9 per cento rispetto alla scorsa annata lattiero casearia), i prezzi del formaggio non sono risaliti come previsto. Mentre non si sa nulla dello stanziamento di 14 milioni di euro da parte del Mipaaf, che risale a fine luglio, destinato alle aste per gli indigenti, per ritirare parte del prodotto dal mercato. E all’orizzonte si profila il pericolo dei nuovi dazi previsti dall’amministrazione Trump negli Usa. La sola minaccia e l’inserimento nella black list ha fatto volare le commesse di Romano, scorte in vista di un probabile crollo delle vendite nel mercato americano.

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Marzia Piga

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