Gli effetti del Covid-19, rapporto Acli: ‘In 50mila rischiano di perdere il lavoro’

“Per non far saltare il sistema sociale sardo, se fosse possibile scegliere tutte le opzioni, occorrerebbe fare in fretta e bene. Ma se si deve scegliere solo una opzione, direi che sia necessario privilegiare la velocità”. Lo dice il presidente di Acli Sardegna, Franco Marras, commentando i dati diffusi da questa mattina dallo Iares, il centro studi dell’associazione cattolica che ha messo sotto la lente gli effetti dell’emergenza Covid-19 sul tessuto sociale dell’Isola, in particolare sulla povertà.

Marras dice ancora: “L’esame dei dati impone lo stanziamento di risorse a fondo perduto per affrontare l’emergenza nell’immediato, ma serve anche pianificare un rafforzamento delle politiche attive sul lavoro, un programma di formazione su nuove occupazioni e un intervento di affiancamento e supporto al contrasto delle nuove povertà, con il pieno coinvolgimento del terzo settore”. Il presidente di Acli Sardegna precisa: “Non partiamo da dati da noi rilevati per valutare i gravissimi effetti della situazione ma da quelli autorevoli del Cerved, dello Svimez e dell’Agenzia regionale Aspal. Già solo nel mese di marzo – si contavano nell’Isola 24.000 posti di lavoro in meno rispetto all’anno precedente e di questi meno di 5.000 appartengono al settore turistico“. Questo secondo i dati Aspal. E ciò rende ancora più significativa la gravità perché non si tratta solo di buste paga stagionali.

In base all’esame dei numeri Svimez, “sono 200.000 i lavoratori che hanno subìto il lockdown in Sardegna, e per un terzo si tratta di lavoratori autonomi, artigiani, commercianti e professionisti, mentre per due terzi sono lavoratori dipendenti. A questi vanno aggiunti 50.000 lavoratori non tutelati, in prevalenza stagionali, per un totale di 250.000 persone che hanno sospeso il lavoro o non lo hanno avviato tra aprile e maggio”. Di qui un’osservazione: “In uno scenario simile – prosegue Marras – la domanda che ci siamo fatti è quante di queste buste paga andranno perdute, cioè quante persone non potranno riprendere il lavoro e perciò di ingrossare le file dei poveri, assoluti o relativi”.

Secondo due scenari elaborati dal Cerved, “la Sardegna perderà circa il 9 per cento della produzione nella migliore delle ipotesi e il 22,5 nella peggiore. Se si proietta questo scenario sull’occupazione, il dato che emerge è imponente. Se perdessero il lavoro il 10 per cento di quei 250mila occupati ‘toccati’ dal lockdown, resterebbero senza busta paga in 25.000; ma non si può escludere che la percentuale salga al 20, ciò che significherebbe 50mila persone senza più stipendio. E conteggiando le famiglie, significherebbe che oltre 120.000 sardi entrerebbero nella fascia della povertà, ingrossando le fila dei 167.000 poveri assoluti già presenti nell’Isola.

Per le Acli, come si legge nella sintesi del rapporto Iares, è dunque necessario “fare presto”. Sugli stanziamenti a fondo perduto, l’associazione cattolica suggerisce di organizzare “meccanismi fiduciari, sul modello del prestito d’onore, o dei mini prestiti resi disponibili dal ‘CuraItalia’, ma potenziandoli. So in questo modo – conclude Marras – si possono contenere i danni dell’emergenza Covid-19. Tempi lunghi e burocrazia, peraltro, rendono inutili gli interventi perché erogati in ritardo e inefficaci. Di certo, vanno messe al centro le comunità locali. La salvezza sarà nella ricostruzione: perché è vero che perderanno molti posti di lavoro, ma ne nasceranno altri per quanti hanno competenze e capacità lavorative ma devono adeguarle al nuovo scenario e ai nuovi servizi richiesti”.

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