Dalla pecora al formaggio. Una catena che passa attraverso gli industriali del latte. A fare i conti della serva, dalla materia prima al ‘prodotto finito’ viene fuori un rincaro superiore al 300 per cento. Parliamo non del pecorino romano, ma di Fiore sardo, Toscanello e Caciotta. Una triplicazione del prezzo che spieghiamo in questo articolo e la cui ricostruzione la dice lunga sulle ragioni della rivolta decisa dai pastori sardi. Una lotta segnata dalla decisione di inondare le strade di latte, “perché è meglio buttarlo piuttosto che farcelo pagare una miseria”, continuano a ripetere gli allevatori. Da otto giorni.
Partiamo dunque dal prezzo. Gli industriali del latte – ovvero i caseifici privati – sganciano appena 60 centesimi per un litro di latte ovino. E questo succede malgrado il costo di produzione per il pastore oscilli tra i 60 e gli 90 centesimi, pari a una media regionale di 75. Gli allevatori sardi, in buona sostanza, lavorano in perdita. E per compensare i mancati introiti si vedono costretti a utilizzare come fondo cassa gli aiuti europei che ricevono per il benessere degli animali, per la cura delle pecore, ad esempio (ma questa è un’altra storia).
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Torniamo invece alla catena che comincia dalla pecora e finisce col formaggio: per fare un chilo di pecorino, ci vogliono tra i cinque e i sei litri di latte. Ragioniamo per eccesso e facciamo i conti sulla cifra tonda. Sui sei litri, che all’industriale costano 3 euro e 60 centesimi. Ma il formaggio, una volta venduto, permette ai produttori di ricavare come minimo 12 euro per ogni chilo di pecorino prodotto. E parliamo di Fiore Sardo, Toscanello e Caciotta.
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Va precisato che il ricavo non è una somma ‘pulita’. Cioè netta. A questa bisogna togliere le spese fissi: dal costo del personale alla manutenzione dei macchinari, quando non anche il nuovo acquisto. Tuttavia tra il costo della materia prima e il ‘prodotto finito’ c’è una differenza di otto euro e 40 centesimi. Soldi, questi, che gestisce l’industriale in perfetta solitudine. Con una differenza: gli imprenditori del latte lavorano con margini di ricavi che valgono oltre il doppio rispetto al costo della materia prima. I pastori invece si fanno il mazzo in perdita. È superfluo dire quale sia la parte ‘debole’ del sistema lattiero-caseario in Sardegna.
Al. Car.
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