Crisi nel Sulcis, la fabbrica di bombe Rwm: “Pronti a dare lavoro a chi l’ha perso”

Alessandra Carta

Non una, ma 150 buste paga. Centocinquanta famiglie che possono trovare un piano B. La salvezza in un Sulcis sempre più affamato di lavoro. A mettere sul piatto contratti e stabilità occupazionale è la Rwm, la fabbrica di bombe che a Domusnovas si allunga per duecento ettari a tre chilometri dal centro abitato.

“Abbiamo le commesse in crescita”, dice Fabio Sgarzi, l’ingegnere-amministratore delegato di Rwm Italia, costola col tricolore di Rheinmetall, ovvero il colosso teutonico delle armi con quartier generale a Düsseldorf. Nel nostro Paese, invece, l’azienda tedesca si divide tra la sede legale di Ghedi, nel Bresciano, e lo stabilimento sardo.

La Rmw non è una fabbrica amata. In Italia c’è una discrasia tra l’industria bellica nazionale da 4,6 miliardi di export ogni dodici mesi e la percezione di un Paese per nulla guerrafondaio. Avere sotto casa una fucina di esplosivi non sembra cosa gradita. Ma bisognerebbe chiederlo agli operai del Sulcis che non hanno più uno stipendio o a quelli che rischiano di perdere il lavoro, come sta accadendo alla Portovesme srl. Lavoratori che magari hanno figli da mandare a scuola e all’università.

Sgarzi conosce benissimo questa dinamica del gradimento. Tant’è: è dal 2015 che alla Rwm, in silenzio, danno lavoro a chi l’ha perso. “Negli anni – spiega l’amministratore delegato – lo stabilimento di Domusnovas ha garantito una busta paga a una quarantina di ex operai del polo industriale del Sulcis”. Adesso però la posta in gioco si è alzata di parecchio e sembra una manna dal cielo rispetto alla nuova crisi in cui è piombato il territorio del sud-ovest sardo, la provincia più povera dell’Isola.

“La nostra azienda – prosegue l’Ad – è entrata in un percorso di crescita per via del riflesso che la situazione geopolitica internazionale ha su tutto il comparto della Difesa. Si stima che questo ciclo durerà alcuni anni e impatterà in modo significativo proprio su una realtà come la nostra, attiva nel settore del munizionamento. Oggi solo a Domusnovas lavoriamo in 275. Ma non siamo sufficienti. La nostra programmazione ci dice che nei prossimi sei-dodici mesi avremo necessità di 150 persone in più per far fronte agli impegni. Con possibilità di ulteriori aumenti”, è la sottolineatura.

Già. A Domusnovas, dal 2021, è pronta una nuova linea di produzione. Una linea di caricamento con pbx. Si tratta di un tipo di esplosivo ad alto potenziale che rientra nella categoria dei semisolidi. L’avvio dei macchinari, però, si è fermato a causa di un ricorso. “Il Tar, dopo un dettagliato approfondimento tecnico, ci ha dato ragione confermando il corretto operato dell’azienda e delle istituzioni – precisa ancora Sgarzi -. Il Consiglio di Stato, invece, ha inspiegabilmente ordinato una valutazione di impatto ambientale ex post. Al momento è in itinere e ha avuto come conseguenza un ritardo di oltre due anni sull’avvio della linea”.

Se la partita dovesse sbloccarsi positivamente per la Rwm, i posti di lavoro crescerebbe di un’altra cinquantina di unità. “La previsione dell’azienda, in base all’andamento del mercato, richiede di impiegare circa 450 lavoratori nel più breve tempo possibile e per alcuni anni”, appunta ancora Sgarzi.

Gli antimilitaristi ragionano diversamente: pensano che, una dopo l’altra, tutte le fabbriche belliche possano essere chiuse dalle proteste. Ma non funziona così. Né in Italia né in nessun altro Paese al mondo. Si combatte a prescindere da dove si producono bombe e munizioni, missili e aerei da guerra.

Nel Sulcis sono almeno vent’anni, da quando Silvio Berlusconi si accordava al telefono con Vladimir Puntin, in piena campagna elettorale per le Regionali sarde, che si riesce a imbambolare gli elettori-operai. I russi della Rusal sembrava dovessero pareggiare i conti con la disoccupazione in quel lembo di Sardegna. Era il 2009. Solo promesse. Solo false promesse, da allora. A Portovesme va sempre peggio.

La Rwm cambia musica. Per garantire le buste paga, i tedeschi della Rheinmetall non hanno bisogno di crediti energetici né di taglio al prezzo del kilowatt. Loro si muovono svelti, pagano quel che c’è da pagare e offrono. Oggi altro lavoro. Quasi duecento buste paga a stretto giro. Le prime subito. E che salvezza sia.

Alessandra Carta

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